La festa del Perdono di Assisi non può e non deve essere costretta entro il confine perimetrale della sola giornata. Fu così per Francesco, ed è così ancora oggi. Tant’è che l’indulgenza si può lucrare tutti i giorni dell’anno visitando la Porziuncola. La particolarità del 2 agosto sta nell’estensione di questo privilegio a tutte le parrocchie e le chiese francescane del mondo.
La seconda dimensione che supera il confine della data annuale, e forse ci rende anche più fedeli al messaggio che il Santo di Assisi ha inteso consegnare al mondo, è che sperimentare il perdono di Dio deve renderci più attenti e disponibili a spezzare il pane del perdono con i nostri fratelli e le nostre sorelle.
Non dobbiamo dimenticare che la richiesta di Francesco matura nel tempo della cosiddetta “guerra santa” delle crociate. A tal punto era considerata santa quella guerra che, con la partecipazione a quella carneficina, si ottenevano le indulgenze. La sensibilità di oggi e una maggiore fedeltà al Vangelo considera tutto questo un paradosso e si ribella a una mentalità di quel tipo.
D’altra parte, è il senso del passaggio della preghiera del Maestro che ci fa chiedere al Padre di rimetterci “i debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. È chiaro che non si tratta di indicare la misura con la quale chiediamo al Padre di perdonarci, perché sappiamo che la sua misericordia non conosce misura; quanto piuttosto di lasciarci contagiare da quella capacità di perdono, affinché anche noi possiamo fare altrettanto verso gli altri.
Ma come dimenticare la pubblica confessione di san Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2002? “La convinzione, a cui sono giunto ragionando e confrontandomi con la Rivelazione biblica – scriveva – , è che non si ristabilisce appieno l’ordine infranto, se non coniugando fra loro giustizia e perdono. I pilastri della vera pace sono la giustizia e quella particolare forma dell’amore che è il perdono. Ma come parlare, nelle circostanze attuali, di giustizia e insieme di perdono quali fonti e condizioni della pace?
La mia risposta è che si può e si deve parlarne, nonostante la difficoltà che questo discorso comporta, anche perché si tende a pensare alla giustizia e al perdono in termini alternativi”. E invece no. Non solo non sono alternativi, né tantomeno antagonisti, ma piuttosto complementari.
La pace si raggiunge quando la giustizia ristabilisce la verità dei fatti e chiede la riparazione dello strappo provocato nella vita del fratello o della comunità, ma nello stesso tempo chiede un perdono del cuore per non trasformare la giustizia e la tua relazione in rancore o vendetta.
Non possiamo negare peraltro che la pace come perdono è un significativo, fondamentale e specifico apporto che i cristiani offrono alla riflessione e alla prassi per la costruzione della pace; e pertanto, se dovessimo rinunciare all’annuncio del perdono, la stessa pace sarebbe come monca. Il perdono conferisce una qualità superiore a ciò che normalmente chiamiamo pace.
Il perdono di Dio è misericordia in grado di dimenticare e non sedimenta alcun risentimento, il che ci sembra improbabile, se non umanamente irraggiungibile. Eppure è ciò verso cui dobbiamo tendere.
Se riuscissimo a introdurre un perdono da osare sul piano dei conflitti tra i popoli, nelle contese, nelle controversie, nelle storie tragiche di negazione di diritti, di oppressione… allora avremmo un’umanità riconciliata che vive in pienezza l’immagine e la somiglianza con il Creatore.
Ce lo ricordava Papa Francesco lo scorso anno nella ricorrenza della solennità di santo Stefano: “Siamo chiamati a imparare a perdonare, perdonare sempre, e non è facile farlo – riconosce – tutti lo sappiamo: il perdono allarga il cuore, genera condivisione, dona serenità e pace”.
Lasciamoci pertanto toccare dalla festa del Perdono non solo come destinatari della misericordia, ma anche come protagonisti attivi della costruzione di un mondo nuovo con la forza del “per-dono”, che indica gratuità, ovvero assenza di interessi e tornaconto, di compromessi e mezze misure.