Perdono di Assisi, il cardinal Bassetti: gli uomini di ogni religione mostrino il vero volto di Dio, misericordioso e padre di tutti

perdono-assisi-porziuncola-2007

La solennità del Perdono di Assisi è giunta quest’anno a festeggiare l’VIII centenario dalla sua fondazione. Fu, infatti, in una notte del 1216 che san Francesco, in preghiera nella Porziuncola, chiese a Cristo e alla Madonna di concedere la completa remissione di tutti i peccati a “coloro che, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa”. Ottenuta l’approvazione di papa Onorio III, il 02 agosto 1216 San Francesco può così annunciare al popolo convenuto alla Porziuncola, insieme ai vescovi dell’Umbria: “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso!”.

In occasione dell’apertura del Centenario, martedì 02 agosto l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, il cardinale Gualtiero Bassetti, ha presieduto una solenne celebrazione eucaristica.

Riportiamo di seguito il testo integrale dell’omelia pronunciata dal cardinale.

“Eminenza Carissima, caro fratello Vescovo Domenico, cari fratelli nell’episcopato, reverendo Padre generale dei Frati Minori, cari sacerdoti, religiosi e religiose, autorità, fratelli e sorelle carissimi qui giunti da ogni parte dell’Umbria e d’Italia: “Pace e bene!”. In questo giorno e in questo luogo santo, il mio augurio è che possiate vivere un’autentica esperienza dell’amore di Dio, per intercessione di Maria Santissima, regina degli Angeli.

La celebrazione eucaristica, in questa insigne basilica, assume oggi un significato particolare: ricordiamo infatti l’VIII centenario dell’indulgenza della Porziuncola, concessa da papa Onorio III a san Francesco, nel 1216. Tale avvenimento, che ha segnato per secoli la storia della piccola chiesa, la storia di Assisi e anche della nostra regione, cade nel tempo del Giubileo straordinario della misericordia, un richiamo agli uomini e alle donne di oggi perché riscoprano la gioia del perdono e della riconciliazione con Dio e tra di loro. “La misericordia – ci ha detto il Papa – è l’atto ultimo e supremo con il quale il Signore ci viene incontro; è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato”.

Come non immaginare, con il pensiero, le folle di pellegrini che lungo otto secoli sono qui venuti, in povertà, con la pena nel cuore e con tanto sacrificio, ma pieni di fede e speranza nell’ottenere da Dio perdono e misericordia, per loro e per i loro defunti. La Porziuncola – ha scritto il vescovo mons. Sorrentino, nella lettera pastorale alla diocesi – è divenuta così “una porta del cielo. Aperta soprattutto per i semplici e i poveri”. In essa “la presenza di Dio si percepisce come una carezza e le pietre hanno il calore di un grembo materno. Tutto vi dice semplicità, non disturbata, anzi evidenziata, dall’arte che la decora, specialmente nell’Annunciazione in cui la Vergine è tutta ascolto, plasmata dallo Spirito, pronta per l’incarnazione del Verbo di Dio”. Proprio sul mistero dell’Incarnazione ci invitano a riflettere le Letture della liturgia odierna.

L’Eterno, l’Inaccessibile, il Volto della Sapienza che ha creato il mondo si è fatto visibile, ha voluto essere uno di noi, nel seno della Vergine Maria, “la madre del bell’amore”, di Colui nel quale risiede la ricchezza di ogni grazia. Dice san Paolo: “Nella pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli”. Una realtà nuova, che cambia il misero destino dell’uomo, un tempo sottoposto alla potestà del peccato e della morte. Con l’avvento del Figlio, tutti gli uomini hanno la possibilità di entrare nella grande famiglia divina, non come schiavi, ma come veri figli.

In Gesù, Dio stesso ci è venuto incontro, è entrato nella storia dell’uomo, di ogni uomo, per liberarlo dal peccato e dalla morte e invitarlo alla festa eterna. Con amore di Padre si prende cura dei figli e va a cercarli, “come se non potesse essere felice senza di loro”, diceva la beata Madre Speranza.

È l’umanità perduta nel non senso e nella disperazione della morte che il Signore viene a cercare, solo per il desiderio di amare e salvare. Ci ricordano le Sacre Scritture che Egli “non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe. Come il cielo è alto sulla terra, così è grande la sua misericordia; come dista l’oriente dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe. Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di quanti lo temono” (Sal 103).

Avvolto da questo amore smisurato, il cristiano sa di potersi rifugiare in colui che tutto può perdonare, ma avverte anche la necessità di liberarsi dalle scorie del peccato, che deturpano la sua anima. In tale contesto si può comprendere la prassi e il valore dell’indulgenza, come una grazia speciale che ci consente di realizzare fino in fondo la totale guarigione del cuore. Essa si fonda su una grande verità di fede: i meriti di Cristo Signore, della Beata Vergine Maria e di tutti i Santi a cui si uniscono le preghiere e le sofferenze dei giusti di ogni tempo.

La Chiesa, come madre premurosa, lungo i secoli ha attinto a questo tesoro in favore dei vivi e dei defunti. L’indulgenza infatti ha un valore che trascende le barriere del tempo, si apre sul destino eterno dell’uomo, lo rende capace di trasfigurarsi su questa terra, di liberarsi dal peso della purificazione dopo la morte e di comparire dinanzi al Redentore, con la veste candida degli invitati alle nozze eterne.

Si rimane estasiati al disegno mirabile della Divina Provvidenza che, attraverso l’umile frate Francesco, ha voluto riversare su questa piccola chiesa i tesori e la ricchezza della sua misericordia. La Porziuncola, culla del francescanesimo, è diventata nel tempo centro di un vasto movimento di pietà popolare e parte della storia della Chiesa universale, sempre unita da vincoli di carità al Vescovo di Assisi e al Papa di Roma. “Vi voglio mandare tutti in Paradiso”, gridò Francesco al popolo qui convenuto, quando il Papa gli accordò l’indulgenza, “senza obolo”, cioè senza offerta in denaro, quindi accessibile anche a coloro che non potevano permettersi donazioni o lunghi pellegrinaggi. Il legame con Roma non si è mai interrotto e ancor oggi è particolarmente intenso, e lo dimostra la venuta dopodomani di Papa Francesco, pellegrino tra i pellegrini, desideroso anch’Egli di aprire il suo cuore alla Vergine degli Angeli perché ottenga da suo figlio Gesù pace e concordia per il mondo intero.

Quest’anno ricorderemo anche un altro importante anniversario: il trentesimo della Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace, voluta da san Giovanni Paolo II, il 27 ottobre 1986. L’incontro iniziò proprio qui, dinanzi alla Porziuncola, con i leader di tutte le religioni del mondo che si abbracciarono in segno di rispetto, di pace e di riconciliazione. L’evento terminò al tramonto presso la basilica di San Francesco. Ciò che incuteva paura all’epoca era il confronto atomico tra le due superpotenze militari: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. A distanza di trent’anni, il mondo, purtroppo, non si è ancora pacificato. Oggi a sconvolgere è la follia terroristica che in diversi luoghi è esplosa con gesti di efferata violenza. Uno scontro di civiltà, che da più parti si paventa, sconvolgerebbe l’umanità in maniera imprevedibile e drammatica. Ma non è lo scontro che bisogna rincorrere; quello che bisogna adoperarsi a costruire è la civiltà dell’amore, l’unica – come diceva il beato Paolo VI – capace di garantire a ciascuno i suoi diritti, rispettare ogni credo religioso, favorire una vita degna per tutti.

Sono appena tornato da Cracovia, dove ho partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù. Ho ancora negli occhi i volti di centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze, con la gioia nel cuore e la volontà di costruire un mondo nuovo. È stato come ammirare un grande prato ricolmo di fiori appena sbocciati che protendono i loro petali verso la luce del cielo. Davanti a questo bellissimo spettacolo umano non possiamo, non dobbiamo, aver paura del futuro. Papa Francesco ha detto ai giovani: “Non lasciatevi rubare la speranza, perché senza speranza non c’è futuro”. Come il giovane Francesco, dopo aver incontrato il lebbroso, i “giovani di Cracovia” hanno capito che non bisogna aver paura della putredine umana, dell’uomo corrotto e degradato dalla vita e dalla violenza: è lui “il prossimo”, a cui curare le piaghe. Sotto ogni uomo ferito si nasconde il volto del Signore, che può risplendere solo grazie al nostro amore. Se voi giovani (che vedo numerosi anche qui) avrete coraggio di “sognare” – come ha detto il Papa a Cracovia – cambierete il mondo come ha fatto Francesco, che con la misericordia e la fede ha favorito la comunione tra tutti gli uomini di buona volontà, contrapponendo alle trincee della paura i varchi della speranza, della comprensione, dell’amicizia e della fraternità.

Fratelli e Sorelle, salga oggi di nuovo, da questa piccola chiesa della Porziuncola, da questa sacra città di Assisi, un’accorata invocazione perché gli uomini di ogni convinzione religiosa sappiano mostrare al mondo il vero volto di Dio: misericordioso, compassionevole, creatore e padre di tutti gli uomini. “Il risultato della preghiera – come disse san Giovanni Paolo II quella mattina del 27 ottobre 1986 – pur nella diversità di religioni, esprime una relazione con un potere supremo che sorpassa le nostre capacità umane da sole”. Ed essa può ottenere da Dio più di quanto osiamo chiedere! Amen!”