Di ritorno dal Messico, alla domanda dei giornalisti sulla vicenda delle unioni civili, Papa Francesco, dopo aver dichiarato che lui “non s’immischia nella politica italiana” e che “con il Governo italiano si deve arrangiare la Cei”, ha affermato che “i parlamentari cattolici devono votare secondo la propria coscienza ben formata… E dico ‘ben formata’, perché non è la coscienza del ‘quello che mi pare’”. Ecco il punto: una coscienza ben formata! Mi sono chiesto: chi ci pensa? Chi la deve promuovere? Dove va promossa? I laici cristiani ben formati dovrebbero nascere dalle nostre comunità cristiane e dalle nostre associazioni cattoliche. Ma è così? Dove, da chi e come viene fatta la formazione umana e cristiana degli adulti? A quali fonti si attinge? La Bibbia e il Vangelo? Certamente. Bastano? Secondo san Giovanni Paolo II, no.
Quando erano ancora molti nella Chiesa a considerare la dottrina sociale della Chiesa inutile e superflua o addirittura dannosa, egli, per la prima volta per un Papa, affermò che “essa appartiene non al campo dell’ideologia, ma della teologia e specialmente della teologia morale” (Sollicitudo rei socialis, 41), e che deve entrare a far parte dei percorsi ordinari di formazione a tutti i livelli, dei giovani e adulti in particolare, perché “suo scopo principale è d’interpretare la realtà, esaminandone la conformità o difformità con le linee dell’insegnamento del Vangelo, per orientare quindi i comportamenti cristiani” (ibidem). Per ovviare a questo, occorre necessariamente organizzare dei corsi sistematici sulla dottrina sociale? Non credo. Molto probabilmente, non vi parteciperei neanch’io…
Occorre, invece, un’altra pastorale, incentrata sui laici e sul territorio. Questo non avviene, dobbiamo dircelo. Con un duplice effetto negativo. Il primo: una Chiesa e una pastorale che poco hanno a che fare con quello che propone Papa Francesco nella Evangelii gaudium. Il secondo, più che la formazione, la “deformazione dei laici”, orientati a una fede che da personale si trasforma in privata, venendo meno a quell’“amore sociale” di cui parla il Papa nella Laudato si’ (n. 231). Con il risultato che viene relegata ai margini “quell”indole secolare che è propria e peculiare dei laici” (Lumen gentium, 31).
In questi giorni la Consulta diocesana delle aggregazioni laicali di Perugia sta facendo un percorso di riflessione proprio su questi temi. L’intento è quello di definire una specie di “Carta d’intenti”, per poi procedere di comune accordo a livello delle Unità pastorali per una Chiesa “in uscita”, aperta al territorio e più vicina ai problemi e alle attese della gente. I laici, appunto. Questi benedetti laici, senza i quali non si farà tanta strada perché “ci sono luoghi e circostanze in cui la Chiesa non può divenire sale della terra se non per mezzo loro” (Gaudium et spes, 33).
Ma anche i preti, questi benedetti preti, che lascino un po’ fare, magari cose mai fatte! Facciano anche loro uno sforzo per togliere dalla testa della gente che la parrocchia sia “un’agenzia di servizi religiosi” a cui rivolgersi quando si ha bisogno: un po’ come le Usl e i servizi sociali del Comune. La parrocchia è una famiglia, una grande famiglia che prega, celebra, forma le coscienze per dare senso e prospettiva all’essere cittadini e cristiani, e sta vicino a tutti, specialmente a quelli che più di altri ne hanno bisogno.