di Angelo M. Fanucci
Ho appena abbozzato una domanda impegnativa (“Può esistere un santo con qualche ramo non potato?”), promettendo di riprendere il filo del discorso, ma mi tocca rimandare. Lo riprenderò la prossima settimana, se il Datore di ogni bene nel frattempo non mi avrà ritirato il patentino di circolazione. È successo infatti qualcosa che devo dirti subito, amato e sconosciuto lettore. È successo che è morto un amicocarissimo, e mi è stato chiesto di presiedere la liturgia di commiato (non “il funerale” né “le esequie”: “la liturgia di commiato”). L’ho fatto con grande sofferenza, ma anche con una speranza vibrante che saliva e si dilatava a mano a mano che la Scrittura srotolava davanti all’Assemblea la verità della vita. Lui era un uomo eccellente, una intelligenza vasta e folgorante, un volontà di bene rigorosa fino alle sue più concrete conseguenze. Ma quello che più mi colpiva era la presenza in chiesa di un gruppetto di disabili venuti da Perugia, dalla “mia” comunità, un gruppetto che solo da pochianni s’è trasferito da strada comunale di Prepo a via Pennetti Pennella 42. Franco, Antonio, Cinzia, Verbena: volti cari e amati, così come il volto dell’altro Antonio, quello che li sostiene nei loro non facili percorsi di vita. La gente sicuramente pensava che quei disabili erano lì per gratitudine nei confronti di colui al quale davamo l’arrivederci. Ed era vero, ma non era tutta la verità. Quei disabili erano lì a testimoniare un fatto straordinario, l’aiuto decisivo che loro avevano dato a quell’uomo buono e grande quando la vita l’aveva colpito nella psiche in maniera apparentemente irrimediabile.
Può capitare a tutti, in qualsiasi momento, di perdersi nei meandri della vita. Capita soprattutto alle sensibilità particolarmente penetranti e alle intelligenze straordinariamente lucide. Quando lui toccò il fondo, fu chiesto a me se uno dei piccoli gruppi della “mia” comunità poteva accoglierlo. Dissero di sì, loro, l’allora Gruppo famiglia di Prepo. Dissero di sì, accolsero senza nessuna giustificazione scientifica per farlo; e subito la malattia inguaribile prese a guarire, la vita riprese a scorrere, lui tornò a sorridere. Emarginare i disabili non è solo un’operazione immorale; prima ancora, è un danno fatto alla società dei sani. Lo dico sulla base di una delle conclusioni alle quali è arrivato Todorov, il filosofo che ha indagato a fondo il tema della diversità umana: “Là dove chiede un forte impegno per essere vissuta anche nella sue urgenze più quotidiane, la vita rivela il suo volto più vero ed esprime la sua forza più grande”. Su questa base grandeggia il potenziale contributo del disabile alla vita di tutti.