La Palestina è una realtà complessa, e l’informazione che riguarda quest’area è spesso schematizzata e carente. L’azione di Caritas italiana in Terra Santa è da sempre segnata dalla volontà di sostegno e cooperazione con Caritas Gerusalemme, espressione della Chiesa cattolica locale. Per avere un quadro più preciso di quale sia la situazione attuale in quella terra, abbiamo intervistato Silvio Tessari, responsabile dell’area Medio Oriente e Nord Africa della Caritas italiana. Qual è la situazione attuale? ‘La Caritas Gerusalemme, che si occupa in modo particolare della Palestina, e alcuni nostri amici in Israele, confermano quella che, purtroppo, è la realtà che emerge dai mass media: un momento molto grave, dove le possibilità di soluzione che si intravedono sembrano regolarmente affossate il giorno dopo. In particolare Gaza, dove la Caritas Gerusalemme riesce a malapena ad agire, è per unanime definizione un ‘carcere a cielo aperto’; ma anche in Cisgiordania, cioè nel territorio occupato, la situazione sta peggiorando a vista d’occhio da circa un anno, da quando cioè c’è stato un embargo per cui anche gli impiegati dell’Autorità palestinese non ricevono più il loro salario, e questo sta causando un degrado molto sensibile della situazione economica. La maggior parte della popolazione arabo-cristiana è moderata, cioè non sostiene posizioni estremistiche, ma allo stesso tempo viene detto in termini abbastanza chiari che il governo di Israele praticamente agisce senza nessun controllo internazionale, continuando gli insediamenti e continuando la costruzione del Muro’. Quali sono le priorità per la Caritas? ‘Parlando in particolar modo della Cisgiordania e di Gaza (senza scordarsi del nord di Israele, colpito anch’esso, anche se in maniera meno drammatica, dalla guerra di luglio-agosto dell’anno scorso) possiamo quasi definirla una situazione… all’africana: ci sono moltissimi pazienti che non possono curarsi, mancando le medicine; c’è una grande scarsità di acqua potabile: la poca che è disponibile è spesso inquinata e provoca malattie. Ma il fatto più allarmante – e sono dati di pochi giorni fa forniti dalle Nazioni Unite – è che il 64% della popolazione vive sulla o sotto la linea di povertà. Quindi, una delle priorità della Caritas Gerusalemme è creare piccoli posti di lavoro; le possibilità sono poche, ma qualche cosa si riesce a fare per dare un minimo di sostegno a poche persone. Inoltre, in ogni località, si è costituito un ‘comitato’ che seleziona i casi sociali: in genere sono famiglie dove il capofamiglia è morto o situazioni dove sussiste assoluta mancanza di risorse, e si cerca di aiutarli. In alcuni casi si danno dei contributi ai maestri delle scuole perché continuino a svolgere il loro servizio, visto che non ricevono lo stipendio’. C’è collaborazione tra organizzazioni di solidarietà cristiane e musulmane? ‘In effetti questo è una specie di paradosso: la situazione, da quando si è aggravata ultimamente, ha incrementato la collaborazione tra cristiani e musulmani. Ci sono molti esempi di convivenza e di aiuto reciproco e, forse, quello più noto, è il villaggio di Nevé Shalom ‘ Wahat as-Salam, un villaggio cooperativo a 30 km da Gerusalemme, nel quale vivono insieme ebrei e palestinesi di cittadinanza israeliana. Il cercare di vivere insieme tra le diverse comunità è la chiave di volta per poter creare un humus di convivenza, necessario per costruire una pace più duratura’.
Per uscire da questo “carcere”
AUTORE:
Francesco Locatelli