Famiglia e scuola tengono banco. Ancora viva l’eco della convocazione del 10 maggio a piazza San Pietro, quando Papa Francesco ha raccolto una folla di studenti e docenti per dire una parola sull’educazione. Paradossalmente, per farsi capire dalla nostra Europa individualista, volle chiamare in soccorso la sapienza africana: “Per educare un ragazzo ci vuole un villaggio”. Il 4 ottobre, in concomitanza con il Sinodo, sono state convocate le famiglie. Su questi due ambiti la Chiesa è in prima linea da sempre.
La dimensione educativa della vita ecclesiale ha un cardine nella famiglia, giustamente denominata “piccola Chiesa”. È qui il primo luogo di trasmissione della fede. La catechesi organizzata in parrocchia non sostituisce il compito educativo dei genitori, ma lo suppone e lo sostiene. La scuola dovrebbe avere analoga consapevolezza. Essa è importante per una formazione integrale, che aiuti lo sviluppo di tutte le potenzialità della persona. Ma deve farlo stringendo un’alleanza educativa con la famiglia, che non può sottrarsi alla sua responsabilità originaria e non delegabile. Una domanda s’impone: come rendere operativo questo binomio, e farne una leva della grande avventura dell’educazione, in un tempo in cui non ci sono soltanto problemi dell’istituzione scolastica, ma la famiglia stessa è in crisi? Obiezione seria. È come quando ci si ritrova con una situazione di terremoto, e si va alla ricerca del punto di sostegno. Fortunatamente, anche se il terremoto è in atto, non tutto è distrutto.
Per quanto l’opinione pubblica sia sollecitata soprattutto dai casi più critici – le famiglie in difficoltà, quelle divise, divorziati risposati ecc. – o dalle posizioni più estreme – come la rivendicazione dei cosiddetti “matrimoni omosessuali”: tutte cose puntualmente elevate all’onore della cronaca – c’è ancora una famiglia che regge, chiamata persino a fronteggiare, come ammortizzatore sociale, la crisi economica; e c’è una scuola che fa il suo dovere, nonostante le problematiche attinenti alla sua “riforma”, auspicata spesso in direzioni diverse e contrastanti. Non riconoscerlo sarebbe ingiusto. E poi, da dove ripartire, se non dal bene che c’è? Semmai è auspicabile che la maggioranza silenziosa esca dal silenzio. I ‘partigiani’ di nuovi modi di fare famiglia che finiscono per travolgere il concetto stesso di famiglia (e non solo un “modello antico”), non possono pretendere di avere ragione solo perché fanno più rumore. Anche per la scuola è bene un confronto aperto e costruttivo.
Il confronto tra le posizioni in campo fa bene alla ricerca della verità. D’altra parte, anche nella dialettica la Chiesa non abbandona il suo stile: sempre rispettoso, sempre dialogico, sempre pronto a cogliere l’anima di verità che è nell’altro. Soprattutto, non dimentica che il bene cresce per attrazione e contagio. Prima che enunciare il “principio” della famiglia, la Chiesa deve mostrarsi famiglia (ho sviluppato questo concetto in un recente saggio edito dalla Cittadella, La Chiesa come famiglia) e documentare che, a far famiglia, ci si guadagna: in vita più gioiosa, più serena, più vera. Vale anche per la scuola. La scuola tout court. È il motivo per cui la Chiesa chiede rinnovata attenzione della politica non solo per le scuole di ispirazione cristiana – oggi in particolare affanno – ma anche per le scuole dello Stato. È in gioco il futuro della società.