Con domenica scorsa, prima di Avvento, ha avuto inizio l’Anno liturgico. Un inizio, grazie a Dio. La Chiesa ci concede di poter ricominciare. Si ricominci davvero, Facciamo il punto e ripartiamo. È il capodanno ecclesiastico che segna il primo battito del tempo sacro che ritma la vita religiosa dei cristiani. Non si fanno fuochi d’artificio e danze, ma suono di campane che anticipano la festa, annunciano melodie dolci come pastorali e cantilene di bambini, alberi infioccati e lucenti, presepi magari contestati, e regali d’ogni specie. Avvio di un tempo di abbondanza reale o apparente. Un tempo, avrei detto in un lontano passato, in cui si possono ritrovare in profondità le radici cristiane di una cultura impregnata di gioia e gratitudine per il dono supremo dato da Dio agli uomini, il suo stesso Figlio. Oggi quelle campane dicono ancora la stessa cosa. Ma molti vi scorgono risonanze diverse e hanno l’impressione di sentire rintocchi martellanti, quasi fossero un annuncio di giudizio, una santa convocazione alla difesa della città minacciata o un appello alla lotta contro il satana di turno. I vescovi spagnoli lanciano l’appello ai cattolici: fatevi sentire, alzate la voce! In Medio Oriente i cristiani fuggono spaventati. Il grido: fino a quando Signore? È attesa fiduciosa, annuncio di speranza per i poveri, i diseredati, gli schiavi e delusi, gli stanchi e affaticati dalla sofferenza e dai soprusi, minacciati dalla violenza. L’Avvento è un tempo simbolico che richiama ad un evento presente e futuro di fede. Evento cruciale (crux) di giudizio e di salvezza di colui che venne tra i suoi, che viene ogni giorno e che verrà di nuovo alla fine dei giorni. E noi stessi, volenti o nolenti, gioiosi o tristi, desiderosi o rassegnati, siamo chiamati all’incontro con colui che viene a giudicare la terra. La Chiesa, in questo tempo, riparte fiduciosa verso il Natale del suo Signore. In un periodo carico di violenza e di tensioni grida ancora più forte: “Vieni Signore Gesù!”, con l’intensità di un “Natale di passione”, quale è segnato nel calendario di tanti, tutti, i popoli. Non ci sono nazioni felici. La superficiale patina di gioiosa festività natalizia è solo inganno consumistico. E tuttavia ci è dato di ricominciare a credere e attendere che il Signore verrà e salirà sulla cima dei monti sopra Gerusalemme e allora sarà la giustizia e la pace. Già nell’immediato (Vieni presto, non tardare!), alcuni lo invocano nel vuoto della loro esistenza, o nell’insopportabile peso dell’umiliazione, altri hanno capito dove già si trova guardando il volto attonito della bimba che non parla e non cammina, ma nessuno è ancora riuscito a scoprirne una qualche presenza nel capo staccato dal corpo di un giustiziato o nel cadavere smembrato da una bomba piovuta da un supertecnologico elicottero. Il breve tempo dell’avvento prepari un Natale in cui emerga ed in qualche modo esploda la carica umana dei cristiani (carità), perché non è cristiano un Natale che non è anche un po’ più umano. In questo modo l’Avvento segnerebbe uno spartiacque rispetto al presente e aprirebbe ad un futuro in cui ritrovi cittadinanza l’ascolto del pianto di un neonato, la bellezza di una Madre vergine, di una Vergine sposa, come canta l’Akathistos, il gusto di un’amicizia sincera sigillata da un dono inatteso, l’intimo calore di un perdono ottenuto senza umiliazione con la gratuità del gesto di misericordia del Padre per un’innocenza ritrovata come era al principio. Avvento come ri-cominciamento, senza fughe evasive, posizionando la culla al centro. Le quattro settimane che preparano al Natale sono un itinerario diretto a portare la culla al centro, al cuore della città degli uomini, per ricostruirne la pacifica convivenza. Se non riusciamo a guardarci negli occhi, cristiani ebrei musulmani e gente della pace, possiamo provare a guardare tutti nella stessa direzione, verso quella culla al centro della storia. Tacciano tutte le cose, soprattutto le armi, davanti al Signore che viene per riavviare il cammino dei poveri e di tutti gli amanti della vita e della pace, verso un orizzonte di speranza.
Per un Natale un po’ più umano
AUTORE:
Elio Bromuri