Per non perdere la memoria

Abbiamo appena celebrato la tragica vicenda delle foibe. Cristicchi vi ha dedicato uno spettacolo teatrale prendendosi anche aspre critiche. Pochi giorni prima si è celebrata la giornata della memoria per ricordare le vittime dello sterminio degli ebrei e di altre categorie di persone da loro disprezzate. Per la prima celebrazione si è usata la parola “ricordo”, “Giornata del ricordo”, per la seconda vicenda la parola “memoria”, per la Giornata del ricordo” che per tutti hanno lo stesso significato. Ma ho avuto modo di ascoltare alla radio un rabbino che ha scavato sulle parole e ha detto che memoria fa riferimento alla mente e quindi è un tenere presente al pensiero una persona o un fatto del passato, mentre ricordo fa riferimento al cuore e pertanto è fatto anche di sentimento, di affetto o di condanna, comunque mette in moto la parte sensibile e profonda della persona nei confronti del passato. Ma il rabbino ha tirato fuori come terza un’altra parola “rimembranza”, poco usata, di sapore ricercato, letterario, un po’ aristocratico. Deriva dal verbo rimembrare che si spiega bene confrontato con il suo contrario che è smembrare. Il ricordo pieno e compiuto, quindi, secondo questa analisi, è quello in cui si mettono insieme in un’unica composizione tutti gli elementi del passato, come tante tessere di un unico mosaico. In questo modo il ricordo, chiamiamolo pure con una o altra di queste tre parole, diventa importante, utile, anzi necessario per capire il presente e per operare in esso con consapevolezza e con senso di responsabilità.

La storia dovrebbe essere questa memoria compiuta e in quanto tale anche purificata e pacificata in vista del presente da capire e il futuro da costruire e per evitare che la memoria diventi un motivo di offesa e un mezzo di lotta. Sulle vicende orribili sopra citate una comprensione compiuta non si è ancora avuta dai molti che si sono fermati ad uno o ad altro aspetto, senza giungere alla visione della sua complessità e alla valutazione della sua orrenda banalità, come si è scritto. Conviene notare all’origine delle tragedie della storia umana, dal tribalismo in poi che vi è l’identificazione dell’altro come il nemico. Un’idea ossessiva della propria identità di persona, famiglia, popolo, nazione, razza, religione o partito, ai vari livelli provoca esclusioni per ragioni di territorio, lingua, sangue, beni materiali, potere o altro. Oggi in Europa si notano tendenze a chiudersi, rifiutando chi viene da fuori per qualsiasi ragione, che possono innescare pericolose tensioni e violenze. Alcuni partiti o movimenti puntano sull’esclusione degli immigrati la loro forza e popolarità: in Svizzera con il referendum sugli immigrati, in Grecia sballottata tra due populismi di destra e di sinistra. Nei Paesi scandinavi, in Finlandia i “Veri finlandesi”, in Danimarca il Partito popolare danese, in Norvegia il “Partito del progresso”, in Svezia i “Democratici svedesi” (documento Sir). È giusto regolare e disciplinare l’immigrazone, ma senza cedere alla tentazione della chiusura e della esclusione. Serva il ricordo.

AUTORE: Elio Bromuri