Moriva dieci anni fa, il 22 febbraio 2005, don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e liberazione. In sua memoria, anche l’incontro di Roma del 7 marzo che mette insieme, non casualmente, due ricorrenze significative: il decennale, appunto, della scomparsa di don Giussani e i 60 anni di vita del movimento nato da lui.
Le due date a breve saranno celebrate con un’udienza in piazza San Pietro che Papa Francesco ha concesso a tutto il movimento di Cl. Don Julian Carron, presidente della fraternità di Comunione e liberazione ha espresso la sua gratitudine in un’apposita lettera: “Il mio pensiero – scrive – va a don Giussani, che ci ha educato a guardare il Papa per questa sua rilevanza unica nella nostra vita. Con il trascorrere degli anni cresce la riconoscenza per il dono della sua persona, della sua testimonianza e della sua dedizione totale nell’accompagnare ciascuno di noi affinché potesse diventare più maturo nella fede”.
A distanza di dieci anni si continua a rendere presenza viva un uomo che ha fatto del criterio del coinvolgimento personale dell’io con l’avvenimento di Cristo lo scopo del proprio esistere e di tutta la sua opera. È stato un grande educatore. In tempi in cui – all’inizio, in maniera quasi impercettibile – alla fine degli anni ’50 ancora il cattolicesimo italiano sembrava “trionfante”, egli percepì che l’io era il grande assente della pedagogia cattolica, e che questo avrebbe condotto alla deriva.
Non bastavano i numeri, non bastava la riproposizione, anche efficace, di iniziative, non bastavano i mega-assembramenti. Bisognava che l’io si giocasse. Bisognava che la libertà prendesse il suo peso. Bisognava insomma che la libertà vincesse la battaglia sulla “convenzione”, perché fiorisse nel cuore di ogni cristiano la convinzione che conduce alla comunicazione necessaria della conoscenza.
Una cosa non è conosciuta – diceva il grande Tommaso d’Aquino, cui spesso Giussani si rifaceva – finché non è comunicata. Sommo pedagogo, ebbe a cuore questo elemento distintivo assolutamente indispensabile: “tu giòcati”.
Ma questo coinvolgimento, questo cambiamento non lo si può realizzare da soli né applicando un automatismo. Don Giussani ci ricorda che il suo amato poeta Leopardi ha avuto un’approssimazione, una vicinanza alla soluzione, ma ha ceduto perché non ha avuto compagni. Ci vuole tempo e occorre seguire qualcuno.
Con tale certezza ha speso il proprio vivere con passione, nella consapevolezza che tutto, proprio tutto, è per una realtà positiva. Non è un caso che Cl nasca di fatto nell’istante in cui don Giussani, osservando un gruppetto di studenti comunisti, ne coglie l’aspetto positivo, cioè la loro amicizia, il loro saper essere visibili. In quell’attimo don Giussani si accorge che i cristiani non erano così, non erano visibili, non erano una “presenza”.
Per lui tutta la realtà è segno. Non si esaurisce in quello che si vede e si tocca, ma rimanda oltre. È il famoso “tutte le cose portano scritto: più in là” di Montale. Tutto era l’emergere ai suoi occhi di una profondità che andava oltre il dato effimero. E che lo portava a dire: “Io non voglio vivere inutilmente”.
Frase chiave, non a effetto, non uno slogan, ma il riverbero di una storia, l’espressione di una presenza che genera un popolo e che lo rende presente più che mai. Ora quel popolo è in cammino verso Roma, guidato dal suo carisma, ma guardando il Papa, la continuazione della Chiesa, la sua Chiesa.