Nel tempo forte della Quaresima, “segno sacramentale della nostra conversione”, la liturgia ci sollecita a “lacerare il cuore e non le vesti” (Gioele 2,13), ripetendo come una litania questa invocazione del Miserere: “Tu, o Dio, gradisci la sincerità nel mio intimo” (Sal 50,8). Davide, pur essendo re d’Israele, non appare mai tanto in alto come quando recita, “affranto e umiliato”, il Confiteor davanti a Dio e ai fratelli. “Il pentimento – scrive Romano Guardini – è una delle più potenti forme di espressione della nostra libertà”. Il pentimento è, dunque, la storia di una libertà che si lascia abitare dallo Spirito, trasfigurare dal Suo soffio vitale. È opportuno richiamare l’attenzione su alcuni criteri di verifica dell’autenticità di un pentimento sincero.
– È sincero il pentimento di chi guarda alla croce di Cristo ammettendo che la colpa dei crocifissori non lo assolve dalla responsabilità di essere loro complice.
– È sincero il pentimento di chi avverte non tanto la tristezza del “senso di colpa”, che è una forma di disagio psicologico, quanto l’amarezza del “senso del peccato”.
– È sincero il pentimento di chi rinnova le promesse battesimali accostandosi al sacramento della penitenza, che è la “seconda tavola di salvezza dopo il battesimo”.
– È sincero il pentimento di chi non si limita a ritenersi peccatore in modo timido e rassegnato, ma ha l’umiltà di dichiarare apertamente: “Ho peccato”.
– È sincero il pentimento di chi accusa i propri peccati confessando che “Dio manifesta la sua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono”.
– È sincero il pentimento di chi riconosce la propria colpa senza giustificarsi, e ammette che ha bisogno non solo di essere lavato ma anche mondato dalla lebbra del peccato.
– È sincero il pentimento di chi domanda a Dio sia la gioia di essere salvato, sia la grazia di creare in lui un animo generoso, un cuore nuovo: semplice, umile, libero.
– È sincero il pentimento di chi si allontana dalla colpa affrontando il combattimento contro lo spirito del male con le “armi della penitenza”: l’elemosina, la preghiera e il digiuno.
– È sincero il pentimento di chi porta frutti di vera conversione, scorgendo il volto di Cristo “soprattutto in quello di coloro con i quali egli stesso ha voluto identificarsi”.
– È sincero il pentimento di chi, secondo l’ammonimento del Signore, disarma la vendetta con il perdono, saldando con l’amore le pendenze dei propri debitori.
Sigillo di garanzia della sincerità del pentimento è, dunque, la “misericordiosa intercessione in favore di coloro che ci fanno soffrire”. È utile richiamare, al riguardo, le parole pronunciate da Papa Francesco nella messa presieduta in San Pietro con i nuovi Cardinali: “Amiamo coloro che ci sono ostili; benediciamo chi sparla di noi; salutiamo con un sorriso chi forse non lo merita; non aspiriamo a farci valere, ma opponiamo la mitezza alla prepotenza; dimentichiamo le umiliazioni subite (…). Un cuore vuoto di amore – avverte il Papa – è come una chiesa sconsacrata, sottratta al servizio divino e destinata ad altro”. Al contrario, un cuore pentito e umiliato è come un edificio di culto pronto per essere dedicato alla divina misericordia. Molto opportunamente il rito della dedicazione di una chiesa suggerisce la lettura del brano evangelico che narra la conversione di Zaccheo, capo dei pubblicani di Gerico. Egli, a motivo del suo pentimento sincero, accreditato dalle opere di giustizia e di carità, riceve dal Signore l’abbraccio del perdono: “Oggi per questa casa è venuta la salvezza” (Lc 19,9).