Si è svolto mercoledì 6 marzo il secondo incontro di formazione, del percorso “Iniziazione cristiana: quali proposte per il futuro?”, rivolto ai catechisti dell’iniziazione cristiana dei fanciulli della diocesi di Perugia – Città della Pieve e promosso dall’Ufficio catechistico diocesano, con la partecipazione di Andrea Grillo, docente di Teologia sacramentaria presso la Facoltà teologica del Pontificio ateneo Sant’Anselmo di Roma e di Teologia liturgica presso l’Istituto di Liturgia pastorale di Padova.
Profittando dell’occasione abbiamo chiesto al prof. Grillo di parlarci della relazione tra battesimo e libertà, quest’ultima al centro del Messaggio di Papa Francesco per la Quaresima 2024. Professore, quale relazione tra battesimo e libertà?
“È una relazione molto fine in termini di liberazione dalle logiche del peccato, che non è soltanto liberarsi dal peccato originale – forma con la quale la tradizione ci dice questa grande verità – ma entrare in una relazione di figliolanza e fraternità che ci fa scoprire come quella libertà, che molto spesso pensiamo come un possesso diretto e immediato di ogni uomo e di ogni donna, resta astratta se non viene pensata come una dipendenza dall’autorità. Ogni uomo e ogni donna, infatti, scopre la propria libertà nel momento in cui si lascia toccare dall’autorità dell’amore. Noi, infatti, siamo liberi in quanto siamo stati amati e diventiamo consapevoli dell’amore che Dio, in forma misteriosa, e il prossimo, in forma visibile, ci hanno riservato. Ogni nostro atto di libertà parte da questa abilitazione che abbiamo ricevuto dall’altro e dall’Alto: l’altro e l’Alto ci abilitano ad essere liberi. Nella libertà possiamo fare memoria di questa origine, e dunque restare liberi, oppure troncare il rapporto con questa origine svuotando così la nostra libertà”.
Il “peccato originale”: come spiegarlo in un contesto contemporaneo dove si fa una certa fatica a comprendere un peccato di cui non si è autori?
“Il peccato originale è un modo di spiegare e rendere accessibile il fatto che l’uomo si trova in una situazione di bisogno di salvezza, non perché abbia compiuto qualcosa di disdicevole o di peccaminoso con la propria volontà, ma perché si trova in una condizione di finitudine che non riesce a risolvere semplicemente con le proprie forze. Quindi, potremmo dire che il peccato originale è un modo classico di definire ciò che oggi potremmo tradurre con ‘non venire a capo della propria esistenza da soli’. Essere liberati da questo, poi, vuol dire entrare in una relazione salda e sicura, che è quello che chiamiamo comunione col Padre attraverso Cristo nello Spirito Santo. Questo rapporto con il Dio trinitario libera dal peccato originale e rende possibile una vita virtuosa, che può cadere anche in peccati gravi e che quindi può smentire sé stessa ma mai in modo definitivo; cioè siamo sempre sulla soglia di una possibile riabilitazione e rilancio della comunione. Questo modo di pensare aiuta anche a capire le illusioni, molto più di oggi che non di un tempo, di un mondo che pensa di emanciparsi dal male progettando tutte le cose bene: la progettazione della propria vita personale, della civiltà, della società, senza rughe e senza macchie è un progetto umano che non viene a capo di sé stesso e dunque entra inevitabilmente in crisi. Il bisogno di una autorità altra e più alta, per venire a capo di sé, è il principio di salvezza, che può essere pensato solo in un orizzonte più ampio che è quello della grazia, la quale è più originale del peccato originale. E di questo facciamo esperienza nel battesimo”.
Come coniugare libertà ed autorità, che nel pensiero comune potrebbero essere viste in antitesi?
“Il linguaggio moderno, che ha le sue giustificazioni sul piano politico a causa soprattutto degli ultimi 200 anni di storia, ci porta a dire che per avere libertà devi negare l’autorità, ma questo è un formalismo politico che fa dimenticare che l’atto libero, specificamente umano, è sempre abilitato da una autorità, la quale non è l’imposizione di un comportamento ma è un’altra libertà che ti rende libero. Per spiegarmi: solo quando una persona ti parla tu cominci a parlare, poi ti puoi pure immaginare che il parlare sia tuo originario, ma in realtà l’hai preso dall’altro, è da tuo padre e tua madre che hai imparato a parlare e loro sono le autorità e sono delle autorità se ti hanno dato parole di bene. Dobbiamo pensare la vera autorità come un’altra libertà che è condizione della tua, uscendo dallo stereotipo con cui a volte diciamo ‘la tua libertà finisce dove comincia quella dell’altro’, perché in realtà la tua libertà comincia dove comincia quella di un altro. Non si diventa liberi se non si incontrano delle autorità, come i genitori, gli insegnati, i preti, i datori di lavoro, ecc., che danno gli strumenti per liberarsi”.