“Ripartire dalla legge della croce” dice mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato latino (cioè cattolico romano) di Gerusalemme. “A Pasqua – aggiunge dobbiamo riattingere dal cuore di Cristo, dal costato ferito, la forza e la freschezza del suo messaggio di pace di cui tutti abbiamo bisogno”.
Passare in rassegna le guerre e i conflitti in Medio Oriente, allora, potrebbe sembrare un puro esercizio di stile, ma non è così. Mons. Pizzaballa lo sa bene. Il conflitto israelopalestinese, la guerra in Siria, in Iraq, nello Yemen, la ripresa dei combattimenti in Libia sono la dimostrazione afferma l’arcivescovo che tutto “il Medio Oriente e la Terra Santa, in particolare, hanno un problema con la parola pace.
Non perché non la vogliano, anzi, ma perché è diventata una chimera. Per questo motivo, noi cristiani sentiamo il bisogno, soprattutto quando arriviamo a Pasqua, di fermarci un attimo, di uscire dagli slogan, dalle frasi fatte, e guardare alla pace che nasce sul Calvario, il luogo del perdono di Cristo. Pace e perdono, pace e giustizia, riconciliazione… rischiano però di trasformarsi in semplici slogan se non ci crediamo più.
La Pasqua diventa così il tempo nel quale ri-attingere la forza e la freschezza del messaggio di pace di cui tutti abbiamo bisogno. E questa forza sgorga dal costato aperto di Cristo.
Pace e giustizia ricorda ancora l’amministratore del Patriarcato latino di Gerusalemme nel linguaggio cristiano sono legati al perdono.
Giovanni Paolo II disse che non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono. Noi cristiani abbiamo bisogno di ricominciare da qui. La strada è quella della pace e della giustizia”.
I cristiani sono sempre meno numerosi in Medio Oriente, la loro voce diventa sempre più flebile. Tutto ciò non indebolisce il messaggio pasquale?
“Non facciamo diventare i numeri i soli criteri di risonanza e di potenza del nostro discorso! Il messaggio cristiano diventa valido se ha un contenuto, se la qualità della nostra vita e della nostra proposta è alta. Le Chiese del Medio Oriente in questo momento vivono un grande travaglio. Non può essere diversamente, perché tutta la società è in travaglio, e la Chiesa non fa eccezione.
Abbiamo bisogno, come cristiani, di ritrovare il senso di comunità, a partire non dal successo delle nostre imprese, ma dalla legge della Croce e dalla potenza della Risurrezione”.
A molti però il calvario odierno non appare come un preludio alla risurrezione. È una Passione che non vede fine…
“Per noi cristiani deve essere diverso. Il cristianesimo nei suoi primi tre secoli si è espanso nonostante le persecuzioni, grazie alla testimonianza. C’è uno stile cristiano anche dentro questi conflitti e dentro queste ferite che, ribadisco, non tolgono nulla al dolore e non impediscono di invocare giustizia. L’ingiustizia, la sofferenza e la morte tuttavia non possono diventare il criterio di lettura di tutto ciò che accade in quest’area”.
Qual è lo stile cristiano?
“È uno stile nonviolento e di incontro. In Terra Santa abbiamo i muri che non vogliamo. Desideriamo incontrare, dialogare, noi non abbiamo nemici. Nemico è una parola da abolire. Non vogliamo pensare all’altro come a un nemico. Questi sono solo alcuni dei criteri che definiscono lo stile cristiano che ci immette nel cammino dettato dalla Risurrezione, dalla Pasqua”.
Gesti di dialogo come quelli di Papa Francesco ad Abu Dhabi e in Marocco possono aiutare i cristiani di Terra Santa e del Medio Oriente a ravvivare il messaggio pasquale?
“L’incontro di Abu Dhabi e anche quello ultimo in Marocco hanno ricadute importantissime sulle comunità cristiane mediorientali. Soprattutto quello di Abu Dhabi è stato significativo per il luogo e ha avuto una grande eco. Ha coinvolto in una maniera molto alta il mondo islamico, che si è impegnato nel dialogo con il cattolicesimo e il cristianesimo.
È stato molto importante il discorso di Ahmad Muhammad Ahmad al-Tayyib, il Grande imam di al-Azhar, che ha definito i cristiani non una minoranza ma cittadini. Sono stati gesti molto importanti, anche perché hanno all’interno dell’islam una forte opposizione. Ci ritroviamo totalmente nell’indicazione che il Papa ha dato con questi gesti”.
Allo stesso tempo, il dialogo con l’ebraismo, per le radici comuni, può in qualche maniera dirsi privilegiato.
Purtroppo, anche qui, il conflitto rende tutto più difficile…
“C’è un rapporto con l’ ebraismo e un rapporto con l’ebraismo israeliano . Sono due cose diverse. Il rapporto con l’ebraismo è sereno, non presenta grossi problemi. In Terra Santa però non si può prescindere dalla situazione politica, che è una sorta di elefante dentro una cristalleria. Ma questo è un motivo in più per dialogare, altrimenti creiamo dei ‘muri’. E la Pasqua non conosce muri”.
Daniele Rocchi