Da bambino attendevo in casa che il parroco passasse per la benedizione delle famiglie. L’arrivo del “prete” era considerato un onore: la nonna ci teneva tanto che quello fosse un momento gioioso anche per il parroco, e voleva che ci trovasse tutti in casa, cosa che per me significava avere il permesso di saltare la scuola quella mattina.
Ora, da diacono, sono stato io a girare per le strade di una parrocchia di campagna con la borsa e l’aspersorio, passando di casa in casa per la benedizione delle famiglie. Anche se talvolta qualcuno ha risposto “no, grazie” o qualcun altro non si aspettava per nulla la visita, anche se è stato po’ faticoso mantenere elevata l’attenzione per tutta la giornata passando da una situazione familiare all’altra, ho vissuto un’esperienza che non esito a definire una grande occasione di evangelizzazione.
Varcare la soglia di un’abitazione ha significato entrare nell’intimità della famiglia, immergersi nelle più diverse situazioni umane, incontrare persone che ancora non avevo mai visto, e portare a tutti l’annuncio che Dio ha cura di loro e vuole benedire la loro storia e le loro vite. In poco meno di due mesi ho incontrato l’allegria e il sorriso delle giovani coppie, alcune in dolce attesa, con i loro sguardi carichi di gioia e di speranza per il futuro. Il buonumore di un nonno, appena rientrato in casa dai suoi lavoretti all’esterno, che mostra orgoglioso le foto dei nipotini. L’entusiasmo dei bambini, a volte un po’ diffidenti sulle prime, ma che sgranano gli occhiquando gli fai aprire le mani e le riempi di caramelle.
Ho incontrato però anche tanta sofferenza, affrontata sempre con grande dignità e spesso con una fede semplice e disarmante.