La Pasqua è nata come evento di liberazione d’un popolo, quello ebraico, tenuto schiavo sotto gli egiziani. Com’è noto dalla Bibbia, a ogni tentativo di aver un po’ di libertà seguiva maggiore durezza da parte dal faraone, finché i capi-popolo, Mosè e suo fratello Aronne, non decisero di affidarsi al Liberatore per eccellenza, il Signore, e ne provocarono l’intervento con preghiera insistente, che consentiva a tutti di prendere coscienza del loro stato miserando. L’impossibile divenne possibile: si aprì sotto i loro occhi l’unica via di fuga che avevano, quella del mare, e fuggirono lontano dall’oppressore. Da sempre hanno ricordato e ricorderanno l’intervento strabiliante di Dio, il suo ‘passaggio’ in potenza, che consentì loro di diventare un popolo libero. Il cammino verso la libertà non poteva però fermarsi alla liberazione politica. C’era, e c’è, bisogno d’una liberazione più profonda e duratura, una liberazione da quel ‘male oscuro’ che porta continuamente alla schiavitù fisica e ad ogni altra ignominia: dall’assassinio a sangue freddo di Tommy, allo sfascio delle famiglie; dai delitti della ‘ndrangheta e della mafia, alle guerre, alle torture, al terrorismo, al malgoverno, agli sporchi giochi di borsa, ecc. La corona delle malefatte è lunghissima. Con una parola sola di natura religiosa tutto ciò si chiama ‘peccato’, che è offesa molteplice in più direzioni. Alla radice di tutte le sofferenze del mondo provate dall’uomo c’è il male morale, il peccato. Non lo si vuole riconoscere, anzi c’è talora il culto del peccato, chiamandolo ‘trasgressione’ di cui menar vanto. Ma se non si opera a quel livello profondo che coinvolge la libertà di ognuno, le rampogne o le geremiadi per i tanti guasti sociali servono a poco, a molto poco. La lotta al peccato, chiamandolo con il nome che gli compete, è quella che stranamente non si fa e proprio in nome della libertà, della democrazia, del rispetto dei convincimenti altrui ecc. Anche perché occorre lavorare con gli strumenti adeguati, che non sono quelli che la società abitualmente propone, pannicelli caldi pressoché inutili. I veri efficaci strumenti attingono alla formazione seria e continuativa della coscienza, avvalendosi d’un aiuto che può venire solo dall’Alto. D’altra parte (amo ripetere con le parole d’un pedagogista) finché uno crede d’essere un martello, gli altri saranno sempre chiodi da battere. Bisogna allora aiutare chi crede d’essere un martello (ahimé, quanti uomini del potere lo credono!…) ad accorgersi che anche lui è solo un pover’uomo come gli altri. Ecco allora il senso della Pasqua: è la continuazione dell’antica lotta per la liberazione con strumenti, aiuti, motivazioni che sono d’altra natura, come insegna l’Eroe per eccellenza di questa lotta, Gesù Cristo. È dalla sua croce gloriosa che si trae la forza che estirpa il male oscuro del peccato dalle coscienze di tutti. Quella croce è il sentiero obbligato per imparare l’obbedienza radicale al progetto di Dio. Non ci viene buttata addosso con il ‘prendila e servi’ di carducciana memoria, ma ci viene proposta come il vertice dell’amore che libera dal male.Ecco perché il miglior modo di celebrare la Pasqua è, come diceva il martire del nazismo Dietrich Bonhoeffer, ‘partecipare alla sofferenza di Dio’ confessando anche sacramentalmente il proprio peccato, e non solo salendo sugli scenografici calvari dei riti religiosi.L’augurio, allora, è che questa Pasqua ci inquieti seriamente nel fondo della coscienza, e non ci rassicuri troppo con gli auguri di pace a buon mercato.
Pasqua, evento di liberazione
L'augurio pasquale del presidente della Conferenza episcopale umbra
AUTORE:
' Giuseppe Chiaretti