Benedetto XVI, all’udienza generale di mercoledì in aula Paolo VI, ha svolto la sua catechesi sull’Anno della fede (testo integrale sul sito www.vatican.va) rispondendo alla domanda: “Come parlare di Dio nel nostro tempo?”.
La prima rispota – ha detto – è che “noi possiamo parlare di Dio perché Dio ha parlato con noi. Dio non è un’ipotesi lontana sull’origine del mondo, non è un’intelligenza matematica molto lontana da noi, Dio s’interessa a noi, Dio ci ama… Dio si è auto-comunicato fino a incarnarsi. In Gesù di Nazareth noi incontriamo il volto di Dio, che è sceso dal suo Cielo per immergersi nel mondo degli uomini ed insegnare l’arte di vivere, la strada della felicità; per liberarci dal peccato e renderci figli di Dio (cfr. Ef 1,5; Rm 8,14). Gesù è venuto per salvarci e mostrarci la vita buona del Vangelo”.
“Parlare di Dio – ha proseguito – vuol quindi dire anzitutto avere ben chiaro ciò che dobbiamo portare agli uomini e alle donne del nostro tempo: non un Dio astratto, un’ipotesi, ma un Dio concreto” e che “è entrato nella storia (…). Per questo, parlare di Dio richiede una una familiarità con Gesù e il suo Vangelo, suppone una profonda conoscenza di Dio e una forte passione per il Suo progetto di salvezza, senza cedere alla tentazione del successo, ma seguendo il metodo di Dio stesso: il metodo di Dio è quello dell’umiltà. Dio si fa uno di noi, è il metodo realizzato nell’Incarnazione nella semplice casa di Nazareth e nella grotta di Betlemme, quello della parabola del granellino di senape. Occorre non temere l’umiltà dei piccoli passi, e confidare nel lievito che penetra nella pasta e lentamente fa crescere la pasta (cfr. Mt 13,33). Nel parlare di Dio, nell’opera di evangelizzazione, sotto la guida dello Spirito santo, è necessario un recupero di semplicità, un ritornare all’essenziale dell’annuncio: la Buona Notizia di un Dio che è reale, concreto e che s’interessa a noi, che è un Dio-Amore che si fa vicino a noi in Gesù Cristo fino alla croce, e che nella risurrezione ci dona la speranza e ci apre ad una vita che non ha fine, la vita eterna, la vita vera”.
San Paolo – ha sottolineato il Papa – non parla di una sua filosofia, non inventa sue idee, ma “parla del Dio che è entrato nella sua vita”, del Cristo crocifisso e risorto. Non vuole creare un gruppo di ammiratori ma annuncia Cristo e vuole guadagnare persone per Lui, non per se stesso. Parlare di Dio vuol dire quindi “espropriare il proprio io offrendolo a Cristo, nella consapevolezza che non siamo noi a poter guadagnare gli altri a Dio, ma dobbiamo attenderli da Dio stesso, invocarli da Lui. Il parlare di Dio nasce quindi sempre dall’ascolto (…). L’Apostolo non si accontenta di proclamare delle parole, ma coinvolge tutta la propria esistenza nella grande opera della fede. Per parlare di Dio, bisogna fargli spazio, nella fiducia che è Lui che agisce nella nostra debolezza: fargli spazio senza paura, con semplicità e gioia, nella convinzione profonda che quanto più mettiamo al centro Lui e non noi, tanto più la nostra comunicazione sarà fruttuosa”.
“A questo punto – ha proseguito – dobbiamo domandarci come comunicava Gesù stesso. Gesù, nella sua unicità, parla del Padre suo – Abbà – e del regno di Dio, con lo sguardo pieno di compassione per i disagi e le difficoltà dell’esistenza umana”. Parla con grande realismo e ci mostra che nel mondo “traspare il volto di Dio”: “Dai Vangeli noi vediamo come Gesù si interessa di ogni situazione umana che incontra, si immerge nella realtà degli uomini e delle donne del suo tempo, con una fiducia piena nell’aiuto del Padre. I discepoli, che vivono con Gesù, le folle che lo incontrano, vedono la sua reazione ai problemi più disparati, vedono come parla, come si comporta; vedono in lui l’azione dello Spirito santo, l’azione di Dio. In lui annuncio e vita si intrecciano: Gesù agisce e insegna, partendo sempre da un intimo rapporto con Dio Padre. Questo stile diventa un’indicazione essenziale per noi cristiani: il nostro modo di vivere nella fede e nella carità diventa un parlare di Dio nell’oggi, perché mostra con un’esistenza vissuta in Cristo la credibilità di quello che diciamo con le parole”.
Il ruolo della famiglia
“L’Anno della fede – ha detto il Papa – è occasione per scoprire, con la fantasia animata dallo Spirito santo, nuovi percorsi a livello personale e comunitario, affinché in ogni luogo la forza del Vangelo sia sapienza di vita e orientamento dell’esistenza… Un luogo privilegiato per parlare di Dio è la famiglia, la prima scuola per comunicare la fede alle nuove generazioni. Il Concilio Vaticano II parla dei genitori come dei primi messaggeri di Dio (Lumen gentium, 11; Apostolicam actuositatem, 11), chiamati a riscoprire questa loro missione, assumendosi la responsabilità nell’educare, nell’aprire le coscienze dei piccoli all’amore di Dio come un servizio fondamentale alla loro vita, nell’essere i primi catechisti e maestri della fede per i loro figli”.