Domenica 9 settembre 2007, ore 04. Mi sono svegliato e ho acceso la Tv. No, non quella della camera, perché se nel letto vicino al mio Franchino si sveglia, sbraita; e se sbraita finisce che smoccola. Parentesi: come?!, il figlio di un prete che smoccola? Già, nella totale disponibilità a imparare da tutti, tipica degli oligofrenici come lui, Franco ha imparato anche questo, da quando, 33 anni or sono, venne dalla Toscana in Umbria perché l’avevo adottato. Franchino non sa leggere i dépliant dell’Apt che definiscono questa nostra regione ‘Terra dei santi’. Lui nella ‘Terra dei santi’ ha incontrato talmente tanti ‘cultori del moccolo’ che ha pensato bene di usarlo anche lui, di tanto in tanto, come rafforzativo delle poche parole che riesce a dire. Chiusa parentesi. In Tv, su Rai 2, c’è un gruppo di persone che parlano alla velocità di Mitraglietta Mentana. Facce rubizze, voci che si accavallano. Penso: sono membri del ‘Comitato per la sagra della salsiccia finocchiata’. Parla anche un soggetto spastico: già, in ogni Comitato di sagra che si rispetti, dare la parola ad un emarginato (pardon! ad un ‘fragile’) nobilita l’iniziativa, riscattandola dalla sua natura fondamentalmente pantagruelico/mangereccia. No, ma che ‘Comitato di sagra’?! Sono tutt’altra gente. Il faccione maggiore appartiene al Nobel Rubbia. Lo spastico è un Nobel anche lui, l’inglese Stephen Hawking, astrofisico. Parlano di stelle. Miliardi di stelle per ogni galassia, e le galassie potrebbero essere miliardi. Parlano di ‘buchi neri’, centinaia di milioni di buchi neri nella sola nostra galassia. Capisco poco o niente, ma l’impressione che ne riporto è fortissima. Parlano di stelle. ‘Sia chiaro’ dice Rubbia ‘che le stelle nascono crescono, si riproducono e muoiono come ogni altro soggetto nell’universo’. ‘Sia chiaro’. Già; se lo dice lui; che il Nobel non l’ha certo avuto perché gli hanno passato in anticipo le domande del test, 30mila euro e te la cavi! Però, però: il Padre Dante, nella sua sistemazione del mondo, a garanzia della sua unità aveva affidato alle ‘stelle fisse’ il compito di accogliere l’universo in un unico contenitore, e adesso le pareti del contenitore si slabbrano, irresistibilmente, franano, si dilatano oltre l’inimmaginabile. Un po’ di paura. Poi però: Dio mio, che accadrebbe se i nostri piccoli ragionamenti riuscissimo a farli sempre su questo sfondo, di un universo in cui tutto nasce, cresce, si riproduce e muore, di un universo in cui tutto si dilata, tutto vibra di quel nome infinito (vita) che noi umiliamo ad esprimere realtà a volte piccole (la vita di una ‘grande metropoli’), a volte rissose (la vita politica di inizio terzo millennio), sempre scarsamente significative nella loro autoreferenzialità. Parlano di stelle. Forse in ogni nostro discorso dovrebbe avere il suo spazio questa specie di musica di fondo. Il linguaggio discreto e irresistibile delle stelle. Monito e speranza.
Parlano di stelle
AUTORE:
Angelo M. Fanucci