La visita di Papa Francesco pellegrino alla Porziuncola è stata tutta centrata sul perdono e sulla misericordia, sia nei gesti che nelle parole. Anzitutto i gesti, a cominciare dalla sua presenza, dalla preghiera silenziosa nella Porziuncola, fino al non previsto mettersi al confessionale, e alla visita strettamente privata agli ospiti dell’infermeria del convento dei Frati minori di Santa Maria degli Angeli. Mettendosi al confessionale papa Francesco ha reso visivamente quello che è il “cuore” del messaggio, e il centro dell’attrattiva della Basilica della Porziuncola dove, ogni giorno, decine e centinaia di persone lì trovano qualcuno che li ascolta, li accoglie, li perdona in nome di Dio.
Di questo, che è l’attività quotidiana dei frati minori della Porziuncola e in particolare dei 12 penitenzieri che hanno come specifico ministero proprio quello della confessione, abbiamo parlato con padre Stefano Orsi al termine della giornata della visita di Papa Francesco.
Padre Stefano, lei è uno dei 12 penitenzieri. Quello che a detto il Papa vi trovati in sintonia?
“Ci siamo trovati molto sintonia perché noi diciamo di perdonare e il luogo per giungere a questo perdono è proprio il sacramento della confessione che è molto abbandonato da chi ha smarrito il senso di Dio. Ecco allora che il sacramento della confessione è il luogo per ritrovarsi in Dio”.
I penitenzieri hanno una formazione specifica?
“La formazione è quella che riceviamo dagli studi che facciamo ma durante l’anno, nei momenti in cui ci sono meno pellegrini, abbiamo dei corsi di formazione permanente in cui trattiamo anche temi più scottanti quali quelli dell’etica. Ma la confessione è il luogo, è la chiave per entrare nella misericordia. Siamo tutti benedetti da Dio proprio perché Dio ci vuole nel bene, nella gioia, nella serenità, e ci vuole elevare all’altezza del suo perdono, della sua misericordia”.
Sembra facile, ma immagino che stare in confessionale tanto tempo ad ascoltare le persone che portano loro dolori, i loro dubbi, non deve essere così semplice…
“Non è molto semplice anche perché si sta tante ore in ascolto, soprattutto di persone che spesso più che i peccati portano il loro dolore, la propria sofferenza di un lutto, o di una situazione familiare molto difficile. Molte volte il confessore richiama alla confessione vera e propria dei peccati, e si sente dire ‘meno male che ci siete voi che ascoltate, ed è anche gratis, mentre se andiamo da un medico ci tocca anche pagare’. Le persone sono molto contente di trovare qui uomini di Dio che li ascoltano. Vengono per cercare una parola di conforto per il loro cammino di fede e della vita. Però quello che dalla mia esperienza posso dire è che la gente si sente amata da Dio e quindi, proprio perché noi siamo generati da Dio dobbiamo andare di continuo verso Dio perché siamo stati consacrati a lui mediante il battesimo. È per questo che siamo chiamati a questa speranza che è radicata profondamente nella vita degli uomini”.
Si dice che nelle persone oggi manca il senso del peccato. È difficile accompagnarle ad una confessione del peccato?
“È molto difficile accompagnare le persone a ritrovare il senso di Dio, e quindi manca il senso del peccato perché manca il senso di Dio che l’uomo ha smarrito. Va riscoperto l’amore di Dio e la confessione è luogo per arrivare all’incontro con Dio, per essere certi di essere abbracciati da questo amore. E credere all’amore significa che anche nel dolore della propria sofferenza e del proprio peccato, si può cantare le meraviglie di Dio.
Voi vi trovate quasi sempre di fronte a degli sconosciuti , persone di cui non conoscete la storia. Come si fa ad entrare nella profondità del sacramento?
“Posso dire che quelli che vengono si aprono profondamente, forse perché si trovano di fronte a una persona che non conoscono, davanti alla quale è più facile aprire il cuore. Molti dicono che nella propria parrocchia trovano difficoltà a confessarsi, sia perché non c’è questa disponibilità, ma anche perché portare la parte più intima della loro vita al loro parroco li mette in difficoltà. Mentre qui trovandosi in un luogo, come quello della Porzaiuncola, con un frate che non conoscono si trovano a proprio agio, si crea familiarità. Molta gente piange perché finalmente ha trovato il modo di portare nelle mani del Signore la propria debolezza, la propria fragilità, ed essere poi sollevati da questo perdono, da questa misericordia di Dio che è sempre pronto ad andare verso gli altri”.
Molte persone vengono qui occasionalmente perché è una basilica in cui sanno che possono sempre trovare un confessore. Voi fare anche un percorso anche di accompagnamento delle persone?
“No, questa è un’altra cosa. Ci sono persone più vicino a noi, alla Basilica, persone di paesi qui vicino che chiedono un accompagnamento, e noi questo lo facciamo. Con i pellegrini che vengono da lontano non si può fare una cosa del genere”.
Se lei dovesse dire la sua responsabilità quando è nel confessionale, con una parola…
“La mia responsabilità è che io sono nel confessionale non con la mia idea ma nel nome della Chiesa, quindi devo comunicare al penitente ciò che la Chiesa mi dice riguardo certi argomenti”.
Ci sono delle confessioni che rimangono anche nella vita del confessore. Ce n’è qualcuna che si porta dentro?
“Una confessione di circa un anno fa, molto dolorosa per il penitente che faceva fatica ad esternare il proprio peccato e che alla fine della confessione mi disse ‘Adesso posso anche morire, ma morire in pace e in grazia di Dio’. Questo me lo porto sempre nel cuore”.