di Daris Giancarlini
A Padova un papà ha salvato la vita di suo figlio di un anno donandogli un quarto del proprio fegato. Ora stanno bene tutti e due. Una donazione importante, che non sarebbe possibile se un genitore, prima di decidere di donare qualsiasi cosa al proprio figlio, non fosse incline a regalargli un altro organo: il cuore. Molti diranno che questo è ‘naturale’.
Non ci metterei la mano sul fuoco, viste le tante tragedie all’interno delle famiglie, con vittime predestinate, e incolpevoli, proprio i bambini, i figli.
Quei figli che deve aver amato più di ogni altra cosa il padre di Emanuele, il bambino che domenica scorsa tra le lacrime, in una periferia romana visitata da Papa Francesco, ha chiesto se suo padre, morto pochi mesi prima, fosse andato in paradiso, pur essendo ateo. Un ateo che, però, aveva voluto far battezzare tutti i suoi figli. Il Papa ha ascoltato Emanuele, lo ha consolato, abbracciato e rassicurato: “Magari tutti noi potessimo piangere come Emanuele quando abbiamo un dolore come ha lui!”, ha detto il Pontefice (sempre molto turbato di fronte alla sofferenza dei bambini). “Tuo padre non aveva il dono della fede, ma ha fatto battezzare i suoi bambini. È Dio che dice chi va in Cielo.
E davanti a un papà non credente che è stato capace di battezzare i suoi bambini, Dio sarebbe capace di abbandonarlo?
Dio sicuramente era fiero di tuo papà”.
Nella società del rancore e dell’individualismo sfrenato, ricordarsi di come andrebbe esercitata la missione di essere padre, o madre, non ha alcunché di superfluo o retorico.