La visita di Papa Francesco in Terra Santa, e soprattutto il momento di preghiera che ha condiviso in Vaticano con Shimon Peres e Abu Mazen hanno suscitato tante speranze. Forse troppe. Non poteva esserci più grande delusione, con l’esplosione del conflitto che si è determinato poco dopo tra i due popoli, ancora una volta con l’esito di morti e macerie. La politica, come sempre, impotente a prevenire l’attacco spregiudicato di Hamas e a frenare la reazione abnorme di Israele.
Il trionfo dell’odio. La sconfitta della ragione. Sconfitta anche la preghiera? Viene da chiederselo. Nel 1986 Giovanni Paolo II inaugurò lo “spirito di Assisi” proprio in termini di preghiera per la pace. Un incontro di preghiera nel quale si levava la voce, pur distinta, delle diverse religioni del mondo, a gridare forte che Dio fa rima con la pace, e non con la guerra. Il prossimo 27 ottobre, nell’annuale commemorazione di quell’evento, ad Assisi raccoglieremo ancora quella grande sfida, attualizzandola: “L’iniziativa di Papa Francesco per la pace in Israele: quale futuro?”. All’intuizione dei due Papi dobbiamo porre rinnovata attenzione. Ma perché “investire” in preghiera, lì dove sembra che essa puntualmente fallisca? Si potrebbe facilmente rispondere: prima ancora della preghiera, falliscono le iniziative politiche. Ricorrere alla preghiera è dunque l’ultima spiaggia della speranza. Se non dal basso dei nostri limiti umani, almeno un soccorso ci venga dall’Alto! Il Vangelo ci parla dell’efficacia della preghiera.
Solo che “pregare” e fare un’iniziativa di preghiera non sono automaticamente la stessa cosa. Giovanni Paolo II e Papa Francesco fanno appello a una preghiera autentica. L’invito a pregare è anche invito alla conversione. È invito a riconoscere la condizione di limite in cui ci troviamo. Rivolgersi a Dio è un atto di verità e di umiltà: ingredienti senza i quali nessuna pace è possibile. Una strada che va imboccata non da uno, o da pochi, ma da tanti: sarebbe fin troppo comodo che una singola preghiera, fosse anche quella di un Papa, risolvesse d’incanto un problema così annoso e al limite della disperazione.
Per quanto, in sé, una preghiera autentica ha anche questa possibilità, stando al Vangelo: “Chiedete e vi sarà dato. Bussate e vi sarà aperto”. È la preghiera che “sposta le montagne”. Quella che poggia su una fede capace di toccare veramente il cuore di Dio. Ma normalmente la preghiera è anche una grande pedagogia attraverso la quale Dio costruisce le condizioni del Suo dono. Biblicamente, è la pedagogia dell’alleanza. Dio non ama fare tutto da solo, chiama l’uomo a essergli partner nella costruzione della storia. Spetta a Dio, però, dare la forza perché i cuori si aprano. Quando i cuori sono induriti, non c’è ragionamento che tenga.
Chi di noi, in quest’ultima, cruenta pagina della guerra tra Hamas e Israele, non si è chiesto perché mai, contro ogni senso di umanità e ogni ragionevolezza, le armi non tacessero, anche quando i morti erano diventati centinaia, e strazianti i volti delle mamme, dell’una e dell’altra parte? Dove la ragione è accecata e i sentimenti inaspriti, solo lo Spirito di Dio può entrare.
Se le iniziative della politica avranno una funzione da espletare – e ce l’hanno! -, dovranno essere accompagnate da tanta preghiera. Per questo l’iniziativa di Papa Francesco, senza essere sostitutiva, è decisiva. Non è stata solo un “evento”: è stata una grande indicazione di metodo. Lo “spirito di Assisi” resta più vivo che mai.
Nell’articolo si parla genericamente di armi :
“Chi di noi, in quest’ultima, cruenta pagina della guerra tra Hamas e Israele, non si è chiesto perché mai, contro ogni senso di umanità e ogni ragionevolezza, le armi non tacessero “
Ma non è esatto. Infatti :
PRIMA i Palestinesi sparano missili contro obbiettivi israeliani POI Israele chiede la fine dei lanci e POI risponde colpendo chi lancia i missili. Dunque c’è un PRIMA e un DOPO. Senza il PRIMA non ci sarebbe un DOPO.
Il tutto si sarebbe risolto col cessare del lancio dei missili da parte di Hamas sui civili israeliani, ma non dipendeva da Israele !
Nella logica del prima e del dopo le vicende vanno all’infinito senza possibilità di uscire dalla concatenazione delle azioni e reazioni. E’ inoltre difficile stabilire chi sta nel prima e chi nel dopo quando si litiga. I contendenti dicono che ha cominciato sempre l’altro. Nella tragica situazione in cui si trovano le popolazioni in quella terra benedetta e dolorosa non sembra utile schierarsi da una parte o dall’altra, ma promuovere il dialogo, l’accordo, la comprensione seguendo l’esempio di papa Francesco che ha indotto i rappresentanti dei due popoli a piantare un ulivo simbolo della pace. E’ l’unica strada possibile che reclamano le vittime delle violenze di una parte e dell’altra.