Anche la Galleria nazionale dell’Umbria parteciperà, con due opere, alla mostra che verrà inaugurata il 7 febbraio a Pechino su “Matteo Ricci. Incontro di civiltà nella terra dei Ming”. Si tratta della cimasa raffigurante L’Eterno benedicente e parte del “fregio con putti che abbeverano grifi”, elementi costitutivi della macchina d’altare che accoglieva la Deposizione Baglioni dipinta da Raffaello nel 1507 per la famiglia Baglioni e commemorativa della morte di Grifonetto, proveniente da San Francesco al Prato. La mostra è stata promossa dalla Regione Marche nell’ambito del progetto “Padre Matteo Ricci” realizzato in occasione dei 400 anni dalla morte del padre gesuita (Macerata 1552 – Pechino 1610) con l’intento di promuovere una serie di iniziative per ricordare l’opera del grande missionario. L’esposizione, che verrà inaugurata al Capital Museum di Pechino (aperta fino al 20 marzo), prevede altre due tappe: una allo Shanghai Museum di Shanghai (dal 2 aprile fino al 23 maggio); l’altra al Nanjing Museum di Nanchino (dal 4 giugno al 25 luglio). È suddivisa in due sezioni. Nella prima viene ricostruito, attraverso diversi oggetti, il tessuto culturale e artistico del tardo Rinascimento con l’esposizione, per la prima volta in Cina, di dipinti di alcuni fra i maggiori artisti italiani del tempo (tra cui Raffaello, Tiziano, Lorenzo Lotto, Federico Zuccari, Federico Barocci, Giulio Romano, Simone De Magistris). La seconda sezione sarà invece dedicata alla Cina di fine ’500, con strumenti e documenti d’epoca cinesi e la ricostruzione delle città e delle tappe del viaggio di padre Ricci. Alla conferenza stampa di presentazione, avvenuta nei giorni scorsi, mons. Claudio Giuliodori, vescovo di Macerata, città natale del gesuita, ha ricordato come Ricci è stato un uomo dalla “personalità poliedrica”, cosciente di avere una missione “unica e straordinaria”, quella di essere “il primo a stabilire un ponte tra Oriente e Occidente”. “Padre Ricci – ha aggiunto il prelato – costituisce un paradigma di eccezionale attualità, perché mai come oggi il mondo occidentale è chiamato a instaurare un rapporto con la Cina”. Li Madou, questa la traslitterazione in cinese di Matteo Ricci, insieme a un gruppo di pionieri della Compagnia di Gesù, pur tra iniziali difficoltà, riuscì ben presto a penetrare nella Cina dell’impero dei Ming: imparò la loro lingua, strinse rapporti con gli intellettuali per saper cogliere i valori fondamentali della loro civiltà e poter innestare su di essi l’annuncio del Vangelo. Riuscì così a entrare in quel mondo chiuso e misterioso, trasmettendo in quella terra le conquiste culturali, artistiche, scientifiche e tecnologiche raggiunte nella nostra Europa. Per questo fu elevato nell’olimpo dei grandi della Cina. Più noto in terra cinese che nella sua patria d’origine, Xitai (“il maestro dell’estremo Occidente” come veniva soprannominato) Li Madou è ancora oggi l’unico occidentale, insieme a Marco Polo, ad essere ricordato a Pechino nel grande monumento agli Eroi cinesi del secondo millennio. Con la sua intraprendenza è riuscito a far conoscere l’Europa in Cina, ma soprattutto la Cina in Europa, e come ha detto padre Giuliodori “ha saputo far dialogare culture diverse, ha sviluppato un metodo missionario innovativo basato sull’inculturazione e sul rispetto per le tradizioni locali, coniugando in modo armonico scienza e fede, lasciando nella Cina e nella storia dell’umanità un segno indelebile”. Nella ricorrenza del IV centenario dalla morte a Pechino, riparte anche la causa di beatificazione di padre Matteo Ricci, già dichiarato “servo di Dio” nell’aprile del 1984. Il 24 gennaio, nella cattedrale di San Giuliano, nella diocesi di Macerata – Tolentino – Recanati – Cingoli – Treia, terra natale del missionario, si è svolta la prima sessione del Tribunale diocesano per la causa di beatificazione.
P. Matteo Ricci il pioniere
Grande mostra in Cina per ricordare il grande missionario gesuita del XVI secolo. Sono presenti anche opere provenienti dalla Galleria nazionale dell’Umbria
AUTORE:
Manuela Acito