Riceviamo e pubblichiamo
Il Consiglio comunale di Orvieto, nella seduta del 17 novembre, ha bocciato una mozione sulla “famiglia naturale” e ha approvato il Registro delle unioni civili. Questa la notizia in breve. Per capire: il Consiglio comunale ha respinto una mozione per la tutela della famiglia naturale, cioè quella costituita da un uomo e da una donna uniti in matrimonio, e ha approvato l’istituzione del Registro delle unioni civili aperto a coppie lesbiche, gay, bisessuali e transessuali. Questo atto è stato salutato dalle associazioni Arcigay e Arcilesbica come una notizia “che fa sperare… Una città che sa riconoscere cittadinanza e valore a tutte le forme di famiglia, e non solo a quella della maggioranza dei suoi cittadini, è una città sicuramente più giusta e dove si vive meglio”. Ora, non credo che i cittadini di Orvieto dopo l’approvazione del Registro si siano accorti di vivere in “una città sicuramente più giusta e dove si vive meglio”.
È evidente che questo atto dell’Amministrazione comunale è arbitrario, contro la famiglia, e ispirato da evidenti ragioni di propaganda ideologica, o peggio ancora se è solo dettato da ragioni elettorali. Vale la pena riflettere. Non si riesce a capire la valenza di questo atto giuridico, in assenza di poteri da parte di Comuni e Regioni a disciplinare questa materia. In proposito, l’Unione giuristi cattolici di Piacenza recentemente ha osservato che una eventuale disciplina delle cosiddette “unioni civili” competerebbe solo alla legge dello Stato, non al Comune, e neppure alle Regioni, che in materia di diritto di famiglia e di stato delle persone non hanno alcuna potestà legislativa. Tra gli elementi che la legge dello Stato, in tal caso, dovrebbe disciplinare, vi sarebbero non solo le modalità di riconoscimento delle unioni civili, ma anche i requisiti perché le stesse possano essere considerate tali. In assenza di un tale presupposto normativo – hanno osservato i Giuristi cattolici – essendone ignoto (in senso tecnico) l’oggetto, l’iniziativa del Comune appare quindi essere in primo luogo una forzatura e un arbitrio. Se poi, dall’iscrizione a tale Registro derivassero per le coppie conviventi vantaggi e agevolazioni in concorrenza con quelli riservati alle famiglie regolari, una tale iniziativa si porrebbe anche contro la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, l’unica riconosciuta dalla Costituzione.
L’idea che alcuni Comuni hanno avuto di trascrivere nei Registri dello stato civile i matrimoni gay contratti all’estero fra cittadini italiani, non ha alcun valore legale e non è produttivo di effetti; e se agli interessati glielo si fa credere, è un inganno, una truffa. Infatti la registrazione avrebbe senso solo se producesse quei benefici legali che chiedono le coppie gay: allo Stato, con la registrazione o senza la registrazione, certo, non cambia la vita. Ricordiamo infine che Bruno Ferraro, presidente aggiunto onorario della corte di Cassazione, riflettendo su queste vicende ha affermato: “Non riesco a intravedere lacune suscettibili di essere colmate con norme di nuova emanazione”. Non esiste alcun problema successorio, di subentro nel contratto di locazione, nel diritto di visitare in carcere o in ospedale il partner: è tutto già possibile oggi e non c’è bisogno di cambiare la situazione “per dare a omosex e transex i diritti di cui sono già oggi titolari”. Le coppie omosessuali hanno già oggi tutti i diritti che invece pensano di poter acquisire con una legge sulle unioni civili.