Sabato mattina Avvenire si è presentato con un titolo a tutta pagina: “Feltri ora si corregge su Boffo”. È l’annuncio della smentita del direttore de “il Giornale” delle accuse che hanno portato alle dimissioni del direttore di Avvenire. “Tardiva, defilata, a denti stretti, con l’errato rimando dalla prima a una pagina pubblicitaria interna, ma l’auto-smentita alla fine è arrivata” scrive Francesco Ognibene, nell’articolo che ripercorre tutta la vicenda nelle due pagine dedicate al fatto e ai commenti. “Novantanove giorni dopo quella prima pagina nella quale esibiva le carte (rivelatesi poi inattendibili) di un presunto ”caso”, Vittorio Feltri e il Giornale ieri hanno ingranato la retromarcia, esprimendo a Dino Boffo persino «ammirazione» dopo averlo ingiustamente attaccato per giorni. Ora il direttore ammette che s’era sbagliato. E lo fa con molta meno evidenza di quelle sortite agostane, ma lo fa”. Ognibene quindi ricorda che tutto è iniziato il 28 agosto “con una pagina nella quale il direttore del Giornale dice di voler «smascherare i moralisti» prendendosela col collega di Avvenire «in prima fila nella campagna di stampa contro Berlusconi». Boffo gli replica il giorno dopo definendo quella che Feltri ha evocato – l’ammenda per una vecchia querelle giudiziaria a Terni, di nessun rilievo ma rinforzata da una lettera anonima spacciata per ”nota informativa” – «una vicenda inverosimile, capziosa, assurda», un’operazione che sa di «killeraggio giornalistico»: «Siamo – scandisce Boffo – alla barbarie»”. Ricorda i giorni che sono seguiti, con grandi titoli degli altri media a dare risalto alle accuse e, dall’altro lato, la solidarietà di tanti cattolici e laici, dal presidente della Cei, cardinale Bagnasco agli innumerevoli attestati di stima dei lettori di Avvenire fino alla telefonata del Papa al cardinale Bagnasco nella quale Benedetto XVI chiede «notizie e valutazioni» esprimendo «stima, gratitudine e apprezzamento per l’impegno» della Cei e del suo presidente. Il 3 settembre Avvenire smonta le «dieci falsità» sostenute dal Giornale di Feltri “con una ricostruzione che avrà poi ampia circolazione su blog, social network e siti di controinformazione (tuttora è su www. avvenire.it). Tra l’altro, – aggiunge Ognibene – si dimostra che Boffo non ha mai avuto relazioni omosessuali e che mai è stato ”attenzionato” dalla Polizia. Niente di niente. Ma lo stesso giorno il direttore di Avvenire decide di dimettersi, e lo fa con una lettera che resta una pagina memorabile di dignità e di giornalismo libero, vergata da un «direttore galantuomo» che chiede solo di sapere – scrive – perché gli «è stato riservato questo inaudito trattamento»: «In questo gesto, in sé mitissimo – spiega Boffo –, è compreso un grido alto, non importa quanto squassante, di ribellione: ora basta. (…) Bisognerebbe che noi giornalisti ci dessimo un po’ meno arie e imparassimo a essere un po’ più veri secondo una misura meno meschina dell’umano»”. “Solo molto più tardi – prosegue Ognibene nella ricostruzione della vicenda – “Vittorio Feltri comincerà a far intendere che si sta ricredendo: il 22 novembre arriva ad auspicare che Boffo «torni» vista l’entità trascurabile delle vicende sulle quali il “Giornale aveva montato il ”caso”. Ieri (venerdì, ndr) infine l’ultimo atto, il più clamoroso: «La ricostruzione dei fatti descritti nella nota, oggi posso dire – sono parole di Feltri –, non corrisponde al contenuto degli atti processuali». Non è una «retromarcia», né si tratta di «scuse» o «lacrime», dichiarava ieri sera lo stesso direttore del Giornale, parlando di «doverosa precisazione» su «un particolare» che riguarda «una persona perbene». Minimizza, ma la tempesta non è proprio possibile dimenticarla”.