Papa Francesco è tornato recentemente a parlare dell’omelia, in occasione dell’udienza generale del 4 dicembre scorso. “A volte ci sono predicazioni lunghe, 20 minuti, 30 minuti… Ma, per favore… Oltre gli otto minuti la predica svanisce, non si capisce”, ha affermato il Papa, e non è la prima volta.
Difatti a più riprese il Santo Padre ha parlato della predicazione, anche approfondendo il tema nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (n. 135159), con particolare riferimento alla brevità legata all’attenzione degli ascoltatori.
Un’omelia non più di otto minuti
Gli otto minuti del Papa non possono essere certo un assoluto, ovvero non è necessariamente detto che in ogni assemblea la capacità attentiva sia scarsa e dunque il responso debba essere un’omelia breve, come non è detto che un’omelia breve sia certamente chiara, perché un qualunque atto comunicativo breve può anche essere incomprensibile.
Nondimeno è vero che una omelia lunga può correre il forte rischio di non essere ascoltata, per deficit di attenzione, e di non essere chiara, per un’esposizione complessa o confusa, oltre a non armonizzarsi con il resto della celebrazione per una sproporzione temporale.
Non serve comunque un orologio o un cronometro per computare il tempo di un’omelia perché già la sua stessa natura e il ‘come’ della sua preparazione e della sua attuazione suggeriscono una certa brevità ed una chiarezza da perseguire. Su questo sono illuminanti le parole di Papa Francesco in Evangelii Gaudiam, che riprendono ciò che la tradizione consegna in tema di omelia.
Omelia e predicazione secondo l’Evangelii Gaudiam
Anzitutto, l’omelia e la predicazione si fondano sulla consapevolezza che è Dio che continua a parlare al suo popolo: egli “desidera raggiungere gli altri attraverso il predicatore” e “dispiega il suo potere mediante la parola umana”.
Il dialogo che si apre tra Dio e il popolo, con la proclamazione assembleare della Parola, viene continuato dall’omelia, così da poter condurre tutti coloro che partecipano alla celebrazione all’intima comunione con Cristo nell’Eucarestia, affinché la vita di ciascuno venga trasfigurata dal mistero celebrato.
L’omelia non è una catechesi né una lezione di esegesi
Per questo l’omelia non può essere una catechesi e nemmeno una lezione di esegesi, non può essere uno spettacolo di intrattenimento e nemmeno un sermone moralistico o indottrinante, ma essa deve essere la ripresa di “quel dialogo che è già aperto tra il Signore e il suo popolo, affinché trovi compimento nella vita”.
Ciò è reso possibile se chi svolge il ministero della predicazione si lascia interrogare per primo dalla Parola, la medita e la scruta per un tempo prolungato e si pone in ascolto del popolo e della sua sete.
Deve andare al cuore del messaggio
Non si affanna, inoltre, in discorsi lunghi ma va al cuore del messaggio evangelico, parlando con affetto di madre e con semplicità, non dicendo tanto quello che non si deve fare, ma proclamando le mirabili opere di Dio e ciò che si può fare meglio perché venga accolta la salvezza.
Di aiuto a ciò è il ‘come’ della preparazione. Il predicatore è chiamato per prima cosa a meditare tutti i testi biblici che sono il fondamento dell’omelia, fugando così anche il rischio di parlare di ciò che nulla a che vedere con la Parola proclamata.
La meditazione
Nella meditazione di tutte le pericopi bibliche che la Liturgia della Parola offre c’è da “comprendere adeguatamente il significato delle parole che leggiamo”, con l’obiettivo di “scoprire qual è il messaggio principale, quello che conferisce struttura e unità al testo”, anche attraverso il contesto celebrativo, ossia il formulario della Messa che insieme alle pericopi offrono una prima chiave di lettura dei testi scritturistici.
La preparazione
Nella preparazione della predicazione, poi, vi è la necessità di lasciar parlare il testo sacro anzitutto al predicatore: “chiunque voglia predicare, prima dev’essere disposto a lasciarsi commuovere dalla Parola e a farla diventare carne nella sua esistenza concreta”.
Infine, nella preparazione c’è un duplice ascolto da assolvere: ascolto della Parola, attraverso una sua lettura spirituale che sappia far emergere cosa essa dice al predicatore, alla sua vita, per la sua conversione; ascolto del popolo, collegando “il messaggio del testo biblico con una situazione umana, con qualcosa che essi vivono, con un’esperienza che ha bisogno di luce dalla Parola”.
Un’omelia breve e chiara sembra essere frutto, per il Papa, di una preparazione prolungata che pone al centro la Parola e il messaggio che essa porta nei confronti della vita concreta delle persone.
Linguaggio semplice e positivo
A questo si aggiunge anche il ‘come’ della proposta omiletica: l’utilizzo di un linguaggio semplice, positivo, in grado di costruire un discorso unitario, chiaro, connesso, “in modo che le persone possano seguire facilmente il predicatore e cogliere la logica di quello che dice”.
I frequenti richiami del Santo Padre sulla brevità e comprensibilità dell’omelia, dunque, sono la naturale conseguenza di una riflessione più ampia che egli ha affidato ad inizio del suo ministero petrino all’ Evangelii Gaudium ponendo luce su un momento rituale che è “la pietra di paragone per valutare la vicinanza e la capacità d’incontro di un Pastore con il suo popolo”.