Due le lettere capitali all’inizio del mio discorso sui poveri, due grandi G, miniate all’interno da due diverse fisionomie: Guala e Gerardi. Due uomini di Dio, che ho incrociato per pochi minuti e non ho più dimenticato. Guala: Ospedale Regina Apostolorum di Albano, metà anni 90. Mi sono ricoverato in un’urologia per soli preti. Reparto Sacre Tubature. Fu la battuta folgorante che un Vescovo dei tempi andati riservò al pretino che aveva appena ordinato: “Ora sei tutto sacro”, ad alta voce, solennemente; poi, sottovoce, serio: “Fino ad oggi di sacro ci avevi solo un osso”. Una suora infermiera fece capolino: “Padre Guala, domani lei farà i raggi x”. Padre Guala. Lui! Come un lampo. Girai la testa verso quel mucchietto di ossa che da giorni occupava il letto vicino al mio. “Un monaco della Trappa delle Frattocchie”, così si era presentato. Un lampo: era lui! Era l’ing. Filiberto Guala, il grandissimo manager, l’ex direttore generale del piano Fanfani per l’edilizia popolare, l’ “inventore” della Tv italiana come direttore generale della Rai tra il 1954 e il 1960. Era lui. Nel 1960, nella Roma cicciona del boom economico, la notizia che Guala s’era fatto trappista fu come un fulmine in una notte cupa. I giornali avanzarono tante ipotesi, meno l’unica giusta: quell’uomo che sapeva fare contemporaneamente mille cose diverse, e tutte bene, aveva scelto la parte migliore, affogando nel Dio che brucia e non consuma la sua inutile frenesia. L’avevo vicino. Mi presentai. Passai molte ore a parlare con lui. Speravo che mi spiegasse a fondo la sua scelta. “No. No! Mi racconti lei delle sue esperienze con gli emarginati”. Parlai a lungo. Più volte gli feci rilevare che ormai toccava a lui. Diceva di no, e sorrideva. Ma il nostro – gli dicevo – è un mondo un po’chiuso…: diceva di no, sorrideva, ripeteva “Parli!”; e il suo sguardo s’accendeva, in un crescente interesse per storie che il mondo giudica banali. Quando ebbi dato fondo ai miei racconti e per l’ennesima volta gli chiesi di raccontarmi lui la sua storia, padre Guala chiuse il discorso nell’atto di aprirlo: “La mia storia non ha alcun significato”. Gli occhi erano due stelle. Si sono spenti, quegli occhi, alla fine del 1999. Aveva 93 anni. Spenti. E subito sono tornati a fare luce. Il Signore li ha già collocati nel cielo di Venere.