Le problematiche che possono presentarsi al termine della vita sono tuttora oggetto di grande dibattito: bioetico, scientifico e giurisprudenziale.
I progressi della medicina hanno decisamente allungato la vita media dell’uomo, con miglioramento della sua qualità, ma hanno anche creato nuove situazioni per la disponibilità di mezzi terapeutici che talora violano i limiti naturali di una esistenza. Accanimento terapeutico, richiesta di eutanasia, sospensione di terapie mediche sulla base di “dichiarazioni anticipate di trattamento” sono le problematiche che suscitano spesso opinioni divergenti.
Il nostro ordinamento giuridico non ammette l’eutanasia, sia attiva che passiva, diversamente da quanto accade in altri Paesi in Europa e negli Stati Uniti; viene invece condannato l’accanimento terapeutico, inteso come trattamento sproporzionato, inutile, anzi causa di ulteriore sofferenza.
Anche il Comitato nazionale di bioetica (Cnb), il Codice di deontologia medica e naturalmente il magistero della Chiesa cattolica condannano tali pratiche. Tuttavia, sull’eutanasia si sta muovendo da tempo anche in Italia un’opinione favorevole ed è già stato iniziato un dibattito a livello parlamentare per la promulgazione di una legge.
L’eutanasia, pur in assenza di una legge, potrebbe essere anche nel nostro Paese una pratica nascosta e “strisciante” attraverso l’omissione di taluni trattamenti medici, ad esempio la sospensione dell’alimentazione e idratazione artificiali somministrate ai pazienti non più in grado di alimentarsi per bocca.
In accordo con il Cnb, il Codice di deontologia medica e il magistero della Chiesa, l’alimentazione e l’idratazione artificiali devono essere garantite al malato anche nella fase avanzata e terminale della sua malattia, perché sono da considerarsi atti ordinari di sostegno vitale, come la erogazione di ossigeno, tali da lenire sofferenza e disagio.
Altri invece ritengono che tali pratiche siano trattamenti medici onerosi e sproporzionati, quando non possono garantire prospettive di miglioramento della qualità di vita o il recupero da situazioni cliniche irreversibili. A giustificare l’interruzione di trattamenti vitali in situazioni cliniche non reversibili e con compromissione dello stato di coscienza, per il principio di autonomia si invoca il rispetto di “dichiarazioni anticipate” formulate dai pazienti in un tempo antecedente, quando erano ancora in grado di esprimere le proprie volontà.
A tal proposito vorrei citare la sentenza della corte di Cassazione per il caso di Eluana Englaro, in stato vegetativo permanente da molti anni, per la quale si autorizzò la sospensione dell’alimentazione artificiale, come richiesto dai familiari, e quindi la morte che seguì dopo alcuni giorni. La sentenza fece molto scalpore e venne ritenuta una travagliata elaborazione giurisprudenziale, perché in Italia la legge non consente l’interruzione di trattamenti vitali se non esplicitamente richiesta dall’interessato.
Proprio allo scopo di dibattere queste problematiche, la sezione di Perugia della Associazione italiana dei medici cattolici (Amci) insieme al Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic) ha promosso un convegno per il pomeriggio del 14 ottobre presso l’aula magna della facoltà di Medicina a Sant’Andrea delle Fratte sul tema “Fine vita: problematiche etiche e legislative aperte” (vedi il programma nel box). Il prof. Gigli potrà riferire anche sull’iter in corso al Parlamento italiano di una proposta di legge sul fine vita. Il convegno è stato organizzato in collaborazione anche con il corso di laurea in Medicina e chirurgia della nostra Università.