Nuovo miracolo e per tutti

Editoriale

A forza di ridere sopra i nostri vizi di italiani, con i quali abbiamo fatto una fortuna cinematografica mondiale, e a forza di cinismo, che si è annidato nei discorsi e nei comportamenti ad ogni livello di potere, e anche a forza di immoralità diffusa – dall’apice alla base e viceversa – finisce che perdiamo anche quel sano orgoglio conservato nella memoria, quel “miracolo economico” di sessanta anni fa, che determinò la rinascita del nostro Paese devastato dalla guerra.

Allora però c’era passione e persino rabbia nel volersi tirar fuori da una condizione sociale e umana insostenibile. Non c’era pace sociale, ma un Paese diviso in due blocchi stabiliti con chiarezza dalle elezioni del 1948. Eppure! Non vogliamo fare paragoni. La storia non si ripete e le situazioni sono lontane le une dalle altre (cfr. “Il punto” di Lignani a pag. 12). Ma la storia interpella le persone e le coscienze. Oggi domina l’opinione che “tutti devono pagare, tranne me”. Tutti hanno delle ragioni, anche plausibili in un contesto di ragionevolezza condivisa.

Dove si va a colpire si crea un buco, un danno, una ferita, un dispiacere. Per fare un esempio, è passato nel ludibrio generale il famoso, per quanto provocatorio, detto: “Quanto è bello pagare le tasse!”. È prevalsa invece l’idea che, se sono eccessive, è giusto eluderle… e ognuno ha pensato che le sue fossero eccessive. Se si vanno ad analizzare le due affermazioni, si trova che sono fondate su innegabile buon senso. Pagare le tasse sapendo che vanno a fornire risorse per servizi a tutti i cittadini, le strade, la rete idrica, le fognature, la sanità, per i bambini, l’educazione dei giovani, il sostegno delle attività produttive, per i beni culturali, in una parola, per il bene di tutti e quindi per la pace sociale, non può essere che motivo di gratificazione e di orgoglio nel sentirsi cittadino onesto e utile agli altri.

Ha anche ragione chi, avendo un piccolo reddito, appena sufficiente per mantenere la famiglia, deve versare proporzionalmente più di un altro che ha di più e paga di meno. Qui si dovrebbe inserire la saggezza della comunità politica, che stabilisce regole e calcoli secondo giustizia e pubblica utilità. È tutto talmente semplice che nessuno più ripete queste banalità, per non fare la figura del sempliciotto. Eppure, qui si vede che le cose si giocano nel profondo dell’egoismo e della cecità delle persone. Fanno bene il card. Bagnasco per l’Italia, e il vescovo Paglia per l’Umbria, e la Chiesa tutta in generale, a richiamare alla “conversione sociale al bene comune”.

In questa operazione di risoluzione della crisi, i cristiani in politica dovrebbero risplendere per chiarezza d’idee, avendo alle spalle non la logica del capitalismo liberista, né quella della multiforme sinistra, ma la dottrina sociale della Chiesa aggiornata all’ultima enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate: solidarietà, sussidiarietà, libertà di proprietà con funzione sociale, centralità della persona umana e della famiglia, sostegno del volontariato, aperture al no-profit e alla dimensione della gratuità e del dono, semplificazione degli apparti burocratici, lotta agli sprechi degli enti pubblici, corsia preferenziale per gli ultimi e per i giovani. Insieme, in questo quadro, la crisi si potrà superare e potrà di nuovo esserci il “miracolo”. Che sia per tutti e non solo pochi privilegiati.

AUTORE: Elio Bromuri