“Nulla anteporre” al bene comune

Editoriale

Se un santo, ma anche una qualunque persona dabbene sapesse che inserire il proprio nome in un qualsiasi testo, pubblico o privato, genererebbe contrasti, non esiterebbe a tirarsi indietro. Ed è ciò che farebbero Benedetto e Francesco se avessero una qualche influenza sul Consiglio regionale dell’Umbria. Ma, non avendo voce in capitolo si domanderebbero, almeno, perché sono stati messi in ballo, e chi e perché è contrario a inserire il loro nome nello Statuto. È la domanda che si pongono molti, cui dovrebbe seguire una risposta. Proviamo.Quelli che hanno fatto la proposta sono più di uno, e tra tutti il vescovo Paglia, il quale può considerarsi una persona “collegiale”, rappresentante di un’ampia comunità. Il perché della proposta è per favorire una maggiore utilità generale per la nostra regione, come abbiamo accennato nel precedente numero de La Voce. Questa utilità – nell’opinione diffusa – è quella turistica, di richiamo forte a livello mondiale. Il motivo più alto e forte è quello di sostenere nella nostra regione i valori che tali personaggi rappresentano. Questi valori non sono da sottovalutare nell’attuale situazione di disorientamento e degrado morale e di mancanza di punti di riferimento per la gioventù.Non c’è giorno che l’Umbria non faccia capolino nelle cronache nazionali per tragici fatti di corruzione e violenza. Nominare i santi, non è che risolva la questione. Bisognerebbe imitarli. Ma espungerli perché si ritengono inutili o motivo di fastidio, va nel senso contrario alla ricerca di un bene per la società.Chi si oppone, forse lo fa per semplice contrasto di partito, perché la proposta è stata firmata da una forza politica avversaria e si teme il pericolo della strumentalizzazione. Un motivo esile e persino meschino. Il motivo che ritengo stia più al fondo è la distanza culturale ed emotiva verso ciò che è legato alla Chiesa cattolica.È invalso il criterio della “laicità”, considerata come separazione radicale tra sfera pubblica e sfera religiosa “privata”. Quella parte di religioso e devozionale che riesce ad apparire in pubblico, molti dei nostri laicisti e dei giovani formati da Feltrinelli e Einaudi, la considerano folklore. Tutto ciò potrebbe non entrare nelle scelte politiche, se si considerasse il bene comune al di sopra delle ideologie, che ognuno per proprio conto può liberamente coltivare. Un cittadino di media cultura ha commentato questa vicenda dei santi nello Statuto affermando che i consiglieri non sono sensibili al bene comune. Mi ha alquanto sorpreso. Quando si parla di bene comune si pensa prevalentemente alla sfera economica e sociale. Questa frase del signor Franco mi ha fatto riflettere: mi è tornato in mente quel punto centrale della Regola di san Benedetto che recita: “Nulla anteporre all’amore di Cristo”, che, “laicizzata” per chi non crede e incarnata nella vita concreta per chi è credente, recita: “Nulla anteporre al bene comune”.Se questa fosse la regola che guida la scelta dei politici e degli amministratori, anziché farsi guerre tra loro come spesso accade farebbero a gara per aiutarsi concordemente con ogni mezzo per realizzare nella maniera più efficace ciò che veramente serve al popolo, ciò che giova alla sua crescita economica e al suo sviluppo mentale e morale, per la massima possibile pace e serenità tra le persone.

AUTORE: Elio Bromuri