La celebrazione eucaristica attuale da dove trae la sua origine? C’è un nucleo originario che riguarda non solo la Chiesa cattolica, ma anche le altre Confessioni cristiane?
La celebrazione eucaristica affonda le sue radici nella cena pasquale celebrata da Gesù all’inizio della sua passione. Le diverse tradizioni rituali e le divergenze teologiche e interpretative esistenti ancor oggi tra le varie Chiese e Confessioni cristiane hanno in comune il riferimento ai testi biblici che narrano ciò che Gesù fece con il gruppo degli apostoli “nella notte in cui fu tradito”.
Seppure con alcune differenze, esprimono una fedeltà al comando: “Fate questo in memoria di me”. Quindi possiamo dire che il punto di partenza sono i gesti e le parole compiute dal Messia nell’Ultima Cena, della quale sono arrivate a noi diverse testimonianze nei Vangeli e in Paolo. Si tratta dei racconti d’istituzione, che testimoniano la presenza di due tradizioni parallele già nelle prime comunità cristiane: la tradizione marciana e la tradizione paolina.
Della prima fanno parte i racconti riportati in Marco 14,17-26 e in Matteo 26,20-30, della seconda invece il racconto in Luca 22,14-20 e nella Prima lettera ai Corinzi 11,2325. Non sembri strano al lettore il fatto di avere due tradizioni che seppur nelle differenze, dovute a svariati motivi – riportano la stessa sostanza: Gesù si è consegnato ai suoi con un’azione rituale anticipatrice, nella quale ha significato il suo successivo sacrificio.
Potremmo quidedicare parole su parole all’esegesi dei testi d’istituzione, ma per ora può bastare indicare che cosa abbia voluto significare il Maestro nel benedire, spezzare e distribuire il pane, come nel benedire e distribuire il calice del vino, e per quale motivo lo ha fatto. Anzitutto, i quattro racconti fanno riferimento alla Pasqua ebraica, che fa memoria della liberazione del popolo dall’Egitto, sottolineando il contesto nel quale si svolse la cena: la solennità pasquale.
Pur avendo ancora sul tavolo del dibattito molte questioni legate alla cronologia dei fatti, non è difficile percepire che l’intento degli evangelisti e di Paolo è quello di far comprendere come il Cristo sia il nuovo agnello pasquale, immolato per la salvezza dell’uomo. Ciò che Giovanni Battista aveva profetizzato, “ecco l’agnello di Dio” (Gv 1,36), diventa qui evidente.
La Lettera agli Ebrei preciserà: “Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà [salvifica, ndr ] siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre” (Eb 10,9-10). Il secondo passo della nostra riflessione è rispondere sinteticamente al perché il Signore abbia celebrato l’Ultima Cena indicando nei segni del pane e del vino il suo corpo e il suo sangue.
Il “fate questo in memoria di me” della tradizione paolina non è solo un comando con cui viene ordinato agli apostoli di ripetere ciò che egli ha compiuto, è molto di più: al gruppo dei Dodici e quindi alla Chiesa è stato consegnato il sacramento con il quale perpetuare il mistero pasquale. La celebrazione eucaristica è l’orizzonte entro cui il Risorto, sacrificatosi una volta per tutte, continua a donarsi alla sua Chiesa affinché ogni persona in ogni tempo possa vivere l’evento che ci ha salvati.
Don Francesco Verzini