In quasi venticinque anni di attività del nostro Centro d’Ascolto della Caritas diocesana di Perugia – l’anniversario sarà il prossimo 6 dicembre – abbiamo asciugato tante lacrime. Lacrime che sono sgorgate per la perdita di una persona cara, per la mancanza di un’occupazione dignitosa, per le violenze subite in famiglia, per il traffico di essere umani o per le donne ”schiave” del racket della prostituzione. Non potevamo mai immaginare, però, ciò che sta succedendo in questi ultimi mesi. Solitamente, il primo giorno della settimana, il Centro d’ascolto riceve circa trenta famiglie – con le quali hanno avuto dei colloqui nelle giornate precedenti – a cui erogano quei contributi necessari per il pagamento delle bollette, per l’acquisto dei libri e dei medicinali. Lo scorso lunedì sono arrivate alcune di queste persone che avevano richiesto di poter usufruire di quegli aiuti necessari al loro sostentamento, ma appena si sono sedute si sono messe a piangere.
Quelle persone che piangevano erano delle donne. Donne, madri e mogli, che portano per prime il peso, materiale e morale, di una famiglia all’interno della quale, drammaticamente, entrambi i coniugi sono disoccupati. Uno stato di disoccupazione che, in questo caso, si assomma anche a quello di clandestinità, nonostante 12 anni di lavoro continuativo e sottopagato nei terreni agricoli delle nostre zone. Le donne che erano lì, al Centro d’ascolto, non erano delle proiezioni statistiche. Erano e, anzi, sono delle persone in carne ed ossa. E come loro, migliaia di persone a Perugia e in tutta l’Umbria, ormai da mesi, ogni giorno, sono costrette a tagliare ogni tipo di acquisto, sono obbligate a risparmiare sulle utenze e, come ultima possibilità, sono perfino costrette a ridurre le spese scolastiche non facendo proseguire gli studi ai figli, una volta che questi hanno terminato la scuola dell’obbligo.
Che la crisi sia avanzata inesorabilmente, corrodendo l’anima e il cuore dell’uomo, lo abbiamo detto, scritto e urlato in mille modi diversi, negli ultimi cinque anni. Eppure qualche importante commentatore è arrivato perfino ad alludere che volevamo creare allarme per tirare acqua al nostro mulino. Ma di quale mulino stiamo parlando? La Chiesa conosce un solo ‘mulino’, quello fondato su Pietro e con Pietro, che ha il pavimento in Terra e la macina in Cielo, e un solo olio: l’olio di Cristo che sgorga dalle ferite mortali di Gesù sulla Croce. Con questo mulino non si può creare allarme ma, al contrario, si infonde speranza e, in alcuni casi, un aiuto concreto nei confronti dei bisognosi.
Proprio con questo spirito, la Chiesa umbra si è rimboccata le maniche, si è inginocchiata verso coloro che sono caduti a terra, sfiancati e sfibrati da una crisi iniqua, e ha istituito il “Fondo di Solidarietà”. Dal 2009 ad oggi, questo ‘mulino’ ha continuamente incrementato il suo lavoro per provvedere alle sempre più gravi nuove necessità. Se, infatti, fino a qualche mese fa, le richieste più ricorrenti erano le utenze da pagare e gli sfratti, ora le famiglie ci chiedono cibo o addirittura solo “qualcosa da mettere sulla tavola”. Richieste drammatiche che lasciano ammutoliti. Se infatti manca il pane, non solo viene meno la dignità umana ma rischia di scomparire anche la giustizia evangelica.
Lunedì scorso l’ultimo pianto di una famiglia che aveva entrambi i coniugi disoccupati. E allora, ciò che rimane, è trovare la forza per accogliere queste persone e raccontare le loro storie alla nostra comunità ecclesiale. Perché solo insieme possiamo portarne il carico e dare risposte concrete.