Non sarà un voto inutile. La legge potrà essere migliorata in seguito

Il 7 ottobre si vota per il referendum sulla legge costituzionale "federalista"

Non sarà un voto inutile quello di domenica 7 ottobre per il referendum sulla legge costituzionale “federalista”. Per due motivi: perché il referendum sarà valido anche se alle urne si presenteranno solo 10 italiani e perché il nostro “sì” o “no” deciderà le sorti della legge, di tutta la legge, approvata in Parlamento (se vinceranno i “no” non se ne farà nulla se vinceranno i “sì” la riforma costituzionale entrerà in vigore). Insomma il 7 ottobre decideranno i cittadini. Dovrebbero bastare questi due punti per provocare una inversione di tendenza nella affluenza alle urne in caso di referendum, perché dovrebbe essere chiaro che questa volta non si tratta dei soliti referendum, troppi e troppo difficili da capire, per i quali più della metà degli italiani nell’ultima consultazione hanno preferito non votare. La legge costituzionale per la quale siamo chiamati a “referendum confermativo” il prossimo 7 ottobre è la cosiddetta “legge federalista” approvata dalla maggioranza dell’Ulivo l’8 marzo scorso, in chiusura della legislatura e con la non partecipazione al voto della Casa delle Libertà. La legge avrebbe potuto essere promulgata, e quindi entrare in vigore, senza il referendum popolare, ma, sia Polo che Ulivo, pur con ragioni opposte, decisero di chiedere il parere degli elettori. Secondo il Polo la legge è troppo timida nel trasferire i poteri dallo Stato al livello locale, e quindi è da bocciare; secondo l’Ulivo la legge rappresenta un passo importante che ridisegna in modo sostanziale i rapporti tra Stato ed enti locali, e quindi è da approvare. A poche settimane dalla consultazione l’informazione sul referendum è scarsa, per non dire inesistente, e lo stesso Centro destra non ha una posizione unitaria a favore o contro la riforma. Solo Lega e An hanno chiaramente invitato a votare “no”; il Ccd lascia libertà di voto, e Forza Italia è indecisa. Essenziale è, in questo caso, la differenza di posizione dei presidenti delle regioni di Centro destra, anch’essi divisi sulla posizione da prendere: nettamente contrario è il presidente del Veneto, Galan, mentre i presidenti di Lombardia, Formigoni, Lazio, Storace, e Piemonte, Ghigo (che è anche presidente della Conferenza Stato-Regioni), sono a favore pur criticando la legge. Alla elaborazione della legge parteciparono i presidenti delle regioni ed è anche per questo motivo che sono in maggiornaza a favore della riforma che attribuisce una maggiore ed effettiva autonomia delle regioni ed una più chiara attribuzione di compiti e responsabilità tra lo Stato, regioni, province e comuni. Per le Regioni, sulle quali grava l’obbligo posto dalla Legge costituzionale n’ del 1999 di approvare i nuovi statuti in questa legislatura, la bocciatura della legge “federalista” rischia di aprire una fase di forte indecisione nella definizione degli Statuti e di conflittualità tra le stesse regioni (basti pensare al caso del referendum lombardo sulla devolution). La riforma costituzionale su cui siamo chiamati a dare il nostro giudizio ha delle lacune importanti perché non prevede la trasformazione del Senato in Camera delle Regioni e non riconosce alle Regioni la possibilità di eleggere alcuni giudici della Corte Costituzionale, “ma si tratta di provvedimenti che potranno essere approvati in questa legislatura senza dover modificare il testo approvato”, osservava padre Michele Simone su La civiltà cattolica, la prestigiosa rivista dei Gesuiti, in un articolo pubblicato nell’aprile di quest’anno. Vi sono però aspetti positivi della riforma, osservava ancora padre Simone, e tra questi vi è il ribaltamento della competenza legislativa generale che dallo Stato passa alle Regioni; viene espressamente richiamato il principio di sussidiarietà in base al quale le competenze vengono attribuite all’ente più vicino ai cittadini; “molto significativa” è la previsione del fondo perequativo statale per i territori con minore capacità fiscale (tra questi l’Umbria e la maggior parte delle regioni del Centro-Sud ) “una previsione – commenta padre Simone – che impedisce agli enti con maggiori entrate, di eludere il principio della solidarietà e della coesione nazionale”. “Da parte nostra – concludeva padre Simone – rilevando l’ampiezza e la complessità della riforma della Repubblica qui disegnata, vogliamo fare un richiamo al realismo: in un Paese nel quale ben tre Regioni (Campania, Calabria, Veneto) non hanno recepito, con leggi regionali, la riforma Bassanini – che prevede soltanto un accentuato decentramento amministrativo -, costringendo il Governo ad avvalersi dei poteri sostitutivi previsti dalla legge per attuarla in questi territori, passare immediatamente ad uno Stato federale significa investire le strutture degli enti locali con una “bufera” alla quale in genere non sono in grado di far fronte e di cui non sono prevedibili gli effetti. Invece è preferibile seguire un percorso a tappe, che conceda il tempo e le risorse sufficienti a tutti gli enti locali per mutare la propria organizzazione. In caso contrario si seguirebbe purtroppo un itinerario spesso seguito dal Parlamento italiano in tema di legislazione: norme bellissime nelle dichiarazioni di principio, ma con scarsa attenzione all’impatto concreto sulle strutture modificate e sui tempi e le risorse necessarie per renderle operative”.

AUTORE: Maria Rita Valli