Non esiste più l’Italia centrale, o forse sì

III convegno di Nemetria

L’Italia del Centro è cambiata da quando Nemetria organizzò il primo dei suoi Colloqui (Assisi, 2001). Sei anni dopo, giunti al III Colloquio sull’Italia centrale dal titolo ‘Un passato importante. Un futuro possibile’, svoltosi nel fine settimana al teatro Torti a Bevagna, lo stesso concetto di una macroregione socio-economicamente omogenea e avanzata fra Umbria, Marche, Toscana, Alto Lazio, Abruzzo e Molise viene messo in dubbio. ‘L’imprenditoria delle Marche ha preso la via dell’internazionalizzazione’, ha notato il segretario generale del Censis e presidente di Nemetria, Giuseppe De Rita, ‘la loro filiera è quella delle imbarcazioni di lusso e delle calzature grandi firme’. L’Umbria e la Toscana hanno seguito una strada diversa. ‘È quella del turismo di alto livello: si tratta di due regioni ‘patrie mondiali’ del vino, dell’olio, dei casali, del bel vivere. Dobbiamo prendere atto che, sulla solidarietà fra regioni – ha concluso De Rita – ha vinto la forza delle rispettive filiere dominanti’. Queste regioni poi, per dirla ancora con De Rita, non hanno avuto in dono ‘il bene della relazione’. E se c’è tuttora molta ‘diffidenza’ fra Roma e l’Abruzzo, fra il Molise e la Toscana, anche l’Umbria – costruendo un modello di potere piuttosto arroccato – non ha mai ricercato un vero rapporto di scambio con le regioni vicine. Tutto negativo, dunque? L’idea di un’Italia del Centro è ormai da buttare? No, perché nonostante tutte le differenze regge alla grande quel modello economico fondato sulle piccole e medie imprese e sull’artigianato. ‘È in queste regioni che si è montato l’ingranaggio dello sviluppo dell’intero Paese – ha sottolineato De Rita – copiato in primo luogo dal Nord-Est d’Italia ma non con lo stesso successo di tenuta nel tempo’. Infatti, quando l’azienda stenta, i veneti la vendono al miglior offerente. Invece umbri, toscani e marchigiani la trasformano, la cambiano, la aggiornano al tempo della globalizzazione. Prima difendono le loro ‘creature’ con le unghie e coi denti, poi le tengono coriacemente vive sui mercati e, nei casi migliori, le impongono a livello internazionale. Ecco perché le banche restano fortemente attratte dalle regioni dell’Italia centrale (e anche la presenza al convegno di Bevagna dell’amministratore delegato e direttore generale di Banca Intesa, Mario Ciaccia, ha testimoniato tale attenzione). Il presidente emerito della Corte costituzionale e docente dell’università Luiss, Antonio Baldassarre, ha però voluto scoprire una piaga delle regioni dell’Italia centrale e, in particolar modo dell’Umbria: ‘In Umbria – ha detto – c’è stata finora la prevalenza del ciclo politico dell’economia: nel senso che è stata la politica, con le sue esigenze di consenso, a determinare il ciclo economico. Così si sono ingigantiti i servizi pubblici e il settore delle costruzioni, utili soprattutto ai politici’. Per questa ragione, secondo Baldassarre, l’Umbria non sarebbe cresciuta adeguatamente. Situazione aggravata, secondo l’analisi dell’ex presidente della Corte costituzionale, con il passaggio dai partiti di massa a quelli attuali ‘dei quadri’, composti da politici dalle logiche assolutamente autoreferenziali. ‘Ha ragione Massimo D’Alema – ha chiosato Baldassarre – quando afferma che dopo lo shock traumatico del ’92 (‘Tangentopoli’, ndr) il sistema politico italiano ha reagito andando nella direzione opposta a quella giusta. Ecco, anche il sistema politico dell’Umbria lo ha fatto, se oggi, anche qui, lo stipendio di un presidente di Provincia è mediamente tre volte maggiore di quello di un professore universitario’.

AUTORE: Paolo Giovannelli