“Condannati al dialogo”. Il titolo provocatorio è stato scelto a settembre quando il Circolo La Pira ha invitato a Perugia Massimo Introvigne, ha detto suor Roberta Vinerba introducendo la conferenza di uno dei massimi esperti italiani di sociologia delle religioni. Il sottotitolo “Islam e occidente dopo gli attentati di Parigi”, aggiunto sull’onda dell’attualità, ha definito l’oggetto del tema affidato al relatore, noto per la sua conoscenza della galassia di gruppi religiosi che possono essere definiti “sette” e come fondatore del Cesnur, Centro studi sulle nuove religioni.
Il pubblico che ha affollato la sala della Vaccara, e tra questi anche studenti e lavoratori musulmani, era lì per capire qualcosa di più su quanto sta accadendo nel mondo.
“Non sono un teologo e non parlerò di quanto è scritto o non è scritto nel Corano perchè sono un sociologo” con una conoscenza, aggiungiamo noi, anche storica dei paesi teatro del conflitto sanguinoso portato dal terrorismo islamico.
Introvigne ha dapprima dato un quadro storico dell’evoluzione del fondamentalismo islamico con la premessa che “non tutto l’islam è fondamentalista e che non tutti i fondamentalisti sono terroristi”.
Ha scelto il 1683, l’assedio di Vienna e la sconfitta inattesa dell’impero Ottomano quale data spartiacque poiché da lì “nacque un grande dibattito nel mondo islamico sulle ragioni che portano un impero fino allora in espansione a perdere terreno non solo dal punto di vista militare ma anche di leadership culturale”.
Introvigne ha ripercorso la nascita e l’evoluzione di due scuole di pensiero: quella rimasta dominante fino alla prima metà del XX secolo, che riteneva necessario modernizzare in senso europeo l’impero Ottamano e che, per esempio, porta alle rifome di Atatürk in Turchia, e la seconda, quella fondamentalista che sosteneva la necessità del ritorno alla fede pura e semplice dei primi antenati e che trova vigore nel secondo dopoguerra, con la decolonizzazione, fino a raggiungere il potere in Iran con la rivoluzione Komeinista.
Corrente che ben presto si divide tra chi persegue la “via democratica della islamizzazione della società” e chi ritiene necessario l’uso delle armi, e tra questi la più recente divisione tra chi pensa di dover combattere l’occidente in casa sua (come i talebani di Bin Laden con gli attentati alle Torri gemelle) e chi ritiene che la guerra vada fatta nei paesi islamici e usa gli attentati all’estero come “spot pubblictari per reclutare combattenti e finanziatori” come fa l’Isis, le cui vittime “in Iraq sono 1000 volte più numerose dei morti degli attentati di Parigi”.
Di fronte a questo panorama qual è la reazione giusta? “Non la retorica contro l’Islam nè l’idea che si tratti di scontro tra musulmani e cristiani perché – ha detto Introvigne – questo è ciò che vuole ed è funzionale all’Isis”.
Occorre isolare queste frange, minoritarie anche tra i fondamentalisti, ha detto Introvigne, come Papa Francesco che “ha fatto appello al mondo islamico perché condanni Isis”. Isolare e combattere militarmente – ha aggiunto Introvigne – tenendo aperto il dialogo con l’islam, anzi “allargare la tenda del dialogo” anche con l’Islam politico.
E dialogare con tutti coloro che sono disponibili, senza chiedersi se questo o quel regime “è buono per cattolici perchè Saddam era buono per cattolici ma non per il suo popolo. Dobbiamo chiederci – ha detto Introvigne – se ‘è buono’ per il bene comune, per tutti i cittadini”.
Che il dialogo sia difficile non si può negare, anche perchè, ha detto il sociologo, l’Islam è una religione “orizzontale” ovvero non ha una gerarchia cui fare riferimento.
E ha posto da sociologo la questione del Corano che i fondamentalisti sostengono non sia intepretabile. “È sociologicamente impossibile che non ci siano interpretazioni diverse perché se metti un libro in mano a 1 miliardo e mezzo di persone avrai 100.000 letture diverse e anche chi nega che non ci siano in realtà da la sua. Anche l’Isis – ha aggiunto – ha la sua lettura del Corano”.
Quattromila combattenti occidentali arruolati con l’Isis
Il numero degli stranieri che decidono di aderire alla “causa” terroristica e unirsi alle organizzazioni jihadiste in conflitto in Siria e Iraq, continua a salire. Secondo l’ultima stima dell’International Centre for the Study of Radicalisation and Political Violence (Icsr), il totale dei combattenti stranieri supera ora le 20mila unità di cui quasi un quinto sono residenti o cittadini di Paesi dell’Europa occidentale. Secondo i dati dell’Icrs i combattenti italiani sarebbero 80, ma per Lorenzo Vidino, uno dei massimi esperti di Jihad in Italia, “il numero più attendibile è quello di 53 fornito dal ministro dell’Interno, Angelino Alfano”.
Ma cosa spinge una persona nata e cresciuta in Europa ad arruolarsi come combattente straniero jihadsta? È attorno a questa domanda che le organizzazioni internazionali di ricerca e di sicurezza stanno cercando di rispondere per prevenire il fenomeno alle sue origini. “Il problema – conferma al Sir un funzionario dell’Osce – è capire perché le persone vengono attratte dal radicalismo”. Diversi sono i fattori che spingono alla radicalizzazione: associazione con altre persone; credenze personali; ricerca di un ruolo nella vita. Ma su un punto il funzionario Osce vuole fare chiarezza: “non dovremmo associare il radicalismo con la religione. Ogni atto terroristico è prima di tutto e soprattutto un atto criminale”.
Grazie Maria Rita!
Ho letto con attenzione questo tuo sull’Islam in riferimento all’incontro
a cui avete partecipato…
Mi ha colpito perchè in alcuni suoi passi si assomiglia al pensiero che lunedi
scorso, qui a Nuoro, ha espresso in un suo intervento, A. L, ragazzo laureato
in “Scienze Politiche ” con una tesi sull’Islam geopolitico nella sua alta dignità di “diversamente abile”, in occasione
di una conferenza del MEIC(Movimento Ecclesiale Impegno Culturale) lunedi scorso
in una sala gremita da cui è scaturito un ampio dibattito.
Il confronto, ritengo, sia fondamentale! Grazie ancora!