‘La decisione dell’Agenzia italiana del farmaco che il 30 luglio scorso ha approvato l’utilizzo della pillola abortiva Ru486 in ambito ospedaliero, come alternativa all’aborto chirurgico, si allinea a quella presa in altri Paesi. La decisione ha provocato un acceso dibattito che ha coinvolto gli schieramenti politici in modo trasversale. Per comprendere soprattutto le posizioni della Chiesa in merito si devono conoscere esattamente le conseguenze che produce. In una nota firmata Giorgio Gibertini, presidente del Centro aiuto alla vita di Roma, esprime un chiaro dissenso: ‘La Ru486 non è una medicina. Non cura alcuna malattia. Non aiuta la vita, la stronca sul nascere. La Ru486 non è amichevole nei confronti delle donne. Non realizza in alcun modo un aborto indolore, posto che sia possibile realizzarlo. È al contrario un sistema abortivo altamente controverso anche dal punto di vista della sua sicurezza ed efficienza clinica’. Il testo, che ha per titolo ‘Appello al Ministro Carfagna: pari opportunità per le mamme’, sottolinea che ‘la pillola abortiva tende a deresponsabilizzare il sistema medico, e a ridurlo a dispensario di veleni, e lascia sole le donne, inducendole a una sofferenza fisica e psichica prolungata e domestica, molto simile alle vecchie procedure dell’aborto clandestino’. Gibertini afferma poi che ‘per queste ragioni etiche siamo contrari alla pillola Ru486 e alla sua introduzione in Italia, anche perché la sua utilizzazione è incompatibile con le norme della legge 194/1978’, ricordando che il genetista Jerome Lejeune, scopritore della sindrome di Down, definì il prodotto un ‘pesticida umano’. In una nota diffusa dal Centro di Ateneo di bioetica dell’Università cattolica, diretto da Adriano Pessina, si afferma che l’introduzione della Ru486 risulta una ‘banalizzazione’ dell’aborto’. Il dibattito intercorso pone in evidenza la necessità che la moratoria sull’aborto volontario si trasformi concretamente nell’opera di rimozione delle cause che lo permettono’. Tra queste, ‘la più rilevante non sembra essere quella economica, ma quella culturale, che ha portato al disimpegno della società, alla scomparsa della figura e della corresponsabilità paterna, che ha accettato una linea di indifferenza che di fatto conduce alla solitudine esistenziale delle madri che decidono di abortire’. ‘Troppo spesso – denuncia Pessina – dimentichiamo che la tutela dei diritti delle donne non può mai essere usata contro il diritto alla vita del figlio: nell’aborto, sebbene in misura differente, le vittime sono sempre due. Non possiamo sottrarci alla responsabilità sociale di accogliere la vita nascente, che è sempre degna di trovare cittadinanza in una società evoluta’. Anche la Comunità Papa Giovanni XXIII ha preso posizione contro la RU486 e si è definita ‘in lutto’, promettendo di vigilare ‘perché nessuna casa farmaceutica accetti di distribuire questo prodotto agli ospedali’. Le prese di posizione contrarie alla Ru486 sono concordi nel denunciare che la sua somministrazione va contro le norme della Legge 194 considerando che la Ru486 è a tutti gli effetti abortiva, tanto che se non ottiene l’effetto viene rimborsata la persona che l’ha usata. È una pillola che provoca la morte e l’espulsione del feto diversamente dalla pillola del giorno dopo che se presa nelle prime ore impedisce l’annidamento dell’ovulo fecondato. L’inventore fa presto a dire ‘la mia pillola non ha ammazzato mai nessuno’, perché in realtà ha ucciso tanti esseri umani appena concepiti quante sono le pillole vendute. Nell’appello al ministro Carfagna del Cav di Roma sopra riportato sono ricordati i 121.406 aborti legali effettuati in Italia nel 2008, e si chiede: ‘perché almeno la stessa cifra che lo Stato spende per l’aborto non è data alle mamme che vogliono tenere il bambino?’. Per concludere: il tanto clamore sulle posizioni della Chiesa non tiene conto che non c’è nulla di nuovo se non la riproposizione delle norme che riguardano l’aborto e quindi la scomunica per coloro che lo praticano e lo favoriscono.