No, la guerra non è mai santa

L’appello dell’Incontro internazionale della Comunità di Sant’Egidio
Un momento dell'incontro internazionale della Comunità di Sant'Egidio a Tirana
Un momento dell’incontro internazionale della Comunità di Sant’Egidio a Tirana

“Ai governanti diciamo: la guerra non si vince con la guerra, è un abbaglio! La guerra sfugge di mano. Non illudetevi!”. È il messaggio lanciato da 400 leader di religioni e culture diverse riuniti a Tirana dal 6 all’8 settembre per l’incontro internazionale promosso dalla Comunità di Sant’Egidio.

“Ripartiamo dal dialogo – esortano -, che è una grande arte e una medicina insostituibile per la riconciliazione tra i popoli. La guerra non è mai santa, l’eliminazione e l’oppressione dell’altro in nome di Dio è sempre blasfema”.

Purtroppo, “70 anni dopo l’ecatombe nucleare e la fine della Seconda guerra mondiale, l’umanità sembra avere dimenticato che la guerra è un’avventura senza ritorno. Sì, le guerre sembrano diventare normali e tanti sono attratti dal fascino terribile della violenza. Il nostro secolo XXI è a un bivio: tra rassegnazione e un futuro di speranza, tra indifferenza e solidarietà”.

La via di soluzione viene dalla nostra Umbria: “Lo spirito di Assisi ci guidi a essere più audaci e coraggiosi nella ricerca della pace e nella costruzione di società dove il vivere insieme tra diversi sia pacifico e positivo”.

“Nell’opinione pubblica un cambiamento è iniziato. Le immagini del bambino curdo o della turista greca che sul motoscafo abbraccia un rifugiato salvato in mare ci fanno capire che il mondo è diverso da come è stato dipinto, e che l’abbraccio oggi può vincere sullo scontro” è il commento di Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio.

“Lo spirito di Assisi – aggiunge – soffia molto più forte oggi da Tirana, e ci ha fatto uscire (come ha detto Papa Francesco) dalla nostra autoreferenzialità, dai mondi talvolta chiusi in cui vivono le religioni, dai mondi separati, per andare incontro alle grandi domande della storia di oggi, prima tra tutte quella della guerra, pensando in particolare al Medio Oriente, all’Iraq, alla Siria, alla Libia, e poi quella dei rifugiati che sono in molti casi un prodotto della guerra”.

Lo spirito di Assisi “oggi richiama a un senso di responsabilità ulteriore: lavorare di più, con più tenacia, con più audacia, con più coraggio per la pace”.

“L’idea – spiega ancora Impagliazzo – è quella di dare gli strumenti concreti perché tutto questo movimento popolare che è nato attorno ai rifugiati deve trovare uno sbocco concreto. Altrimenti sono belle parole o bei gesti, che, seppur importantissimi, si affievoliscono con il tempo. Allora noi proponiamo all’Europa, e quindi anche all’Italia, di dare la possibilità per legge alle associazioni, ai singoli o alle singole famiglie che lo vogliono, di ospitare i rifugiati che sono già sul nostro territorio, ma anche di fare accordi con famiglie di persone che soffrono per la guerra e hanno bisogno non di intraprendere ‘viaggi della morte’ o nelle mani di trafficanti di uomini, ma di viaggiare e venire in Europa in maniera totalmente regolare”.

Il tema dell’accoglienza è “popolare” in Europa, e in particolare in Italia?

“Lo sta diventando – risponde. – Ci vuole tempo, perché la predicazione dell’odio che identifica i rifugiati con persone pericolose o addirittura terroristi, è stata troppo lunga nel nostro Paese.

C’è una grave responsabilità di una parte del mondo politico, ma anche della cultura del nostro Paese, di non avere sviluppato una visione realistica delle questioni. È chiaro che il discorso dei rifugiati può essere strumentalizzato per fini politici o peggio, elettorali”. Ma il “cambiamento” di mentalità è in atto e “lo abbiamo registrato anche qui a Tirana”.

 

AUTORE: M. Chiara Biagioni