Un prete americano, a Perugia per studiare l’italiano, ha detto che i cittadini degli Stati Uniti, compresi i suoi parrocchiani, dopo l’immenso dolore e l’umiliazione subita per l’attacco terroristico, attendono la vendetta e sperano che sia dura. Ed ha raccolto in preghiera studenti italiani e stranieri, anche palestinesi cristiani, per ricordare le vittime e invocare la pace. Il pericolo che questa tragedia comporta è quello di cedere al senso di impotenza, rassegnazione, chiusura e demonizzazione generalizzata del mondo islamico da cui si pensa che provenga la minaccia del terrorismo. Sarebbe un cedimento alle mire distruttrici di coloro che vogliono mettere in ginocchio, insieme alla potenza economica, anche le conquiste di civiltà e di democrazia raggiunte con sacrificio e secoli di lotte in Occidente. Ed è pure un’illusione credere che si possa garantire la difesa della vita, della sicurezza e del progresso, solo attraverso il ricorso alle armi, chiudendo i canali della diplomazia e di quella necessaria mediazione che compete agli organismi internazionali troppe volte, anche recentemente e violentemente, contrastati e contestati, pur rappresentando un netto salto qualitativo nel processo di sviluppo civile della storia umana. A queste istituzioni, a partire dall’Onu, devono essere affidate le gravi questioni conflittuali che sorgono tra Stato e Stato in modo da approdare a composizioni pacifiche. Su questo punto anche l’Occidente, che oggi piange, ha le sue colpe, se si pensa alle risoluzioni dell’Onu non osservate nel vicino oriente. Una strada difficile, ma non ci sono altre vie percorribili, tranne la tragedia della guerra o della violenza terroristica. Dal punto di vista culturale, inoltre, si deve provocare il dialogo tra le culture in modo da “contaminare” i mondi dell’intolleranza e aiutarli a entrare nella logica di un umanesimo per cui la persona umana, ogni persona umana, anche quella del nemico e del colpevole, deve essere considerata “indisponibile” nella sua esistenza e nella sua dignità ad ogni potere umano e per ogni ragione politica. Nessun uomo di normale buon senso può considerare legittimo colpire l’innocente, l’inerme, i bambini, donne, vecchi, persone che non sanno niente del perché si spara o si mette la bomba, che non ha compiuto nessun atto contro quel determinato individuo o paese. E’ insensato anche giustificare il terrorismo con motivazioni patriottiche o religiose. I kamikaze non sono eroi e tanto meno martiri. Sono soltanto degli assassini pieni di odio, resi capaci, attraverso una forma patologica di indottrinamento, di uccidere e di distruggere la loro stessa vita. Il martire è colui che subisce la violenza, non voluta e deprecata, cercando prima di tutto di evitarla (Se vi perseguitano in una città, dice Gesù, fuggite in un’altra), o sacrificando per amore la propria vita, al posto di un altro, come ha fatto Massimiliano Kolbe, che si è offerto alla morte in un lager nazista al posto di un padre di famiglia. I kamikaze coinvolgono Dio e la religione in un’azione violenta, infangando il nome di Dio e della religione e ponendo le basi per un “sano ateismo” rispettoso dell’umanità, che può essere più dignitoso di una religiosità impazzita. Dio è un nome di pace e la religione autentica è una via di amore e una legge di rispetto della vita (Non uccidere!, è scritto nella Bibbia).
No alla guerra!
AUTORE:
Elio Bromuri