Una volta conosciuta Capodarco, allentai il mio rapporto con i giovani, sicuro che sarebbe bastato un fischio e le giovani pecore sarebbero accorse di nuovo. Fischiai una prima volta nel 1984, con il “Progetto vita”, un progetto ben pensato e meglio articolato, in una sede prestigiosa quale il palazzo Fondi di allora… Durò poche settimane: le giovani pecore targate 1984 sembravano non assomigliare nemmeno alle giovani pecore targate 1962.
Buco nell’acqua. Ma il fallimento più totale fu quando il vescovo Ceccobelli, nel 2007, mi chiese di riprendere con maggiore assiduità il ministero sacerdotale ordinario, e io pensai ancora di rivolgermi ai giovani. Mi ricordai del pecoraro Tritarelli che, quando ero bambino, a Pian de le Macinare radunava il suo grande gregge con un solo, poderoso fischio. Tra l’altro Coppanuda, il simpaticissimo personaggio che a Scheggia, il mio paese, aveva affibbiato un soprannome a tutti, vista la forte somiglianza tra il pecoraro e me, il soprannome di “Tritarelli” l’aveva appiccicato proprio al sottoscritto; forte di quella somiglianza, fischiai.
E non si mosse nessuna pecora, nemmeno una. Fuor di metafora: feci affiggere sui muri di Gubbio 30 copie di un manifesto 50 x 70: “Il giorno XY, alle ore Z, don Angelo incontra i giovani all’oratorio”. Arrivai mezz’ora prima. Le suorine che accudivano l’oratorio mi offrirono un caffè in una tazzina dei primi del ’700, con sottocoppa di peltro e tovagliolino ricamato a mano. Ma dei giovani non venne nessuno. Nessuno.
Mi sentii come don Camillo che, nel pieno di una delle sue periodiche crisi con il sindaco Peppone, organizzò un processione fino al fiume per benedire le acque: che non esagerassero quando esondavano, e che nei tempi di magra non seccassero del tutto. Ma alla processione non partecipò nessuno: Peppone aveva proibito a tutti di presentarsi in sacrestia, anche a colui che doveva aprire la processione portando una croce enorme assicurata al fascione che portava alla vita, con relativo bicchiere in cuoio.
Don Camillo il fascione se lo mise lui e partì con la croce verso il fiume. Solo. Parlava come sempre al Crocifisso, con la santa confidenza dei semplici: “Signore, ma ti pare!…”. Senza che nessuno lo avesse invitato, a don Camillo si accodò un cane. Un cane sacrilego, secondo lui, che tentò ripetutamente di allontanarlo allungandogli inutili mezze pedate.
Finché il Cristo parlò: “Don Camillo, lascia perdere! Così non potranno dire che non c’era nemmeno un cane”. Bella e moderna, questa riedizione dei Fioretti. E consolatoria per chi, non potendo fare altro, si limita a guardare cosa c’è in fondo al buco nell’acqua: arte difficile, perché i buchi nell’acqua non è che siano molto loquaci.