Succede spesso che giungano in redazione domande di lavoro da parte di giovani che scoprono la vocazione a fare i giornalisti, più per ragioni di necessità che per vera attitudine. Domande simili giungono al tavolo di aziende che gestiscono lavori intellettuali o da tavolino. La disoccupazione è diffusa più di quanto risulta dalle statistiche ufficiali. Molti arrivano tardi a scoprire la necessità di un lavoro, quando sentono sfuggire gli anni della giovinezza e provano il disagio di essere di peso sulla famiglia. Una sensazione di frustrazione si annida nel cuore della gioventù che non si sente invitata o chiamata se non al consumo di ciò che la società produce e non a costruire la società stessa e i suoi beni materiali e morali. Per fare un esempio, anche se zoppicante, un tempo c’era almeno per i maschi la “chiamata alle armi”, che pur simbolica e per fortuna inutile, non essendo in vista nessuna guerra, significava che lo Stato si interessava di loro e chiedeva un servizio militare. Oggi i giovani nessuno li chiama. C’è una legge per il servizio civile, aperto ai due sessi, che andrebbe valorizzata e organizzata, ma si ha l’impressione che non riscuota grande interesse. Così per molti la vita non assume la dignità e il valore di una “chiamata all’esistenza per un compito”, e più ancora, una missione. In questa situazione culturale e sociale, l’umanesimo cristiano, che si fonda sulla “vita come vocazione”, vacilla. Per questo la Chiesa insiste nel proporre una giornata delle vocazioni. Che è, sì, orientata ad invitare i giovani a seguire una chiamata per una consacrazione speciale nella comunità cristiana, ma è più generalmente rivolta a riscoprire la vita come la risposta ad un appello: “Eccomi!”. Nel 1964 in occasione della Giornata delle vocazioni, il papa Paolo VI descriveva le “immense praterie” distese davanti allo sguardo dei giovani che abbiano il coraggio di avventurarvisi. Da allora le praterie sono diventate ancora più ampie e globali, e magari anche minate da insidie. Ciò appartiene al senso e al rischio dell’esistenza. Affinare e allargare lo sguardo per cogliere dov’è il richiamo e lo spazio per un impegno di servizio e di aiuto alla comunità per lo sviluppo, la pace, la crescita dei valori umani e il servizio alla diffusione del vangelo, appartiene al compito primario di chi si affaccia al futuro della propria vita. Ognuno deve fare anche i conti con se stesso per chiedersi che cosa veramente vuole e di che cosa è capace, con realismo, umiltà e sincerità, non inseguendo fatue illusioni di sogni impossibili e non cadendo nella deprimente rinuncia ad ogni tentativo. Pensare positivamente e coltivare la speranza operosa con tenacia sono condizioni per trovare la risposta. Nell’ambito della vita della Chiesa ci sono spazi di inserimento per la formazione, l’evangelizzazione interna alla società cristiana, la missione all’estero nei paesi non cristiani, il servizio volontario della carità, la tutela dei beni artistici e culturali, la promozione delle realtà sociali, la ricerca teologica e culturale, il dialogo ecumenico e interreligioso. Insomma tanti campi di lavoro. La Chiesa chiama e attende risposte. Si dirà che con queste attività non si mangia! Un tempo si diceva che la filosofia e la poesia non danno pane (Carmina non dant panem). Purtroppo è vero anche in questo caso. E’ qui che la comunità degli adulti e dei responsabili, soprattutto cristiani, dovrebbe chiamarsi in causa per trovare soluzioni idonee. Se si chiude da una parte, per ragioni di produzione, si deve aprire da qualche altra, per non soffocare il futuro in un buco cieco.
Nessuno chiama
AUTORE:
Elio Bromuri