All’inizio del nuovo anno liturgico, nel momento in cui stiamo riflettendo come Chiesa sulla famiglia (Sinodo), sulla “Vita e la formazione permanente dei presbiteri” (Assemblea Cei) e l’inizio dell’Anno della vita consacrata (a partire dal 30 novembre), la parola ricorrente che può legare e interpretare in modo più profondo questi eventi può essere “riforma”, intesa semplicemente come sinonimo della conversione evangelica permanente. “La riforma della Chiesa è stata la grazia grande e la formidabile missione che lo Spirito ha affidato ai Padri del Concilio Vaticano II” (Lambiasi). San Giovanni XXIII ha voluto il Concilio per “una rinnovata Pentecoste”.
Il beato Paolo VI indicò come “principale scopo del Concilio il rinnovamento (renovatio) della Chiesa”. Papa Benedetto XVI ci ha ricordato l’importanza dell’ermeneutica della riforma per evitare le derive della rottura, da una parte, e della continuità come pigro immobilismo, dall’altra. Papa Francesco insiste nel dire che stiamo facendo fatica a cambiare come ci ha chiesto il Concilio, anzi “ci sono voci che vogliono andare indietro. Questo si chiama essere testardi” (16 aprile 2013). In modo chiaro e perentorio chiede alla Chiesa di “entrare in un processo di discernimento, purificazione e riforma” (EG, n. 30).
La Chiesa è semper reformanda e perciò deve trovare percorsi evangelici praticabili per essere realmente la Chiesa innamorata del suo Signore, capaci di vivere la comunione fraterna, la povertà, la misericordia, la missione a tutto campo, specialmente nelle periferie che Gesù ha frequentato sulle strade della Palestina. Percorrere questa strada richiede una serie di “no” (alle nuove idolatrie, all’accidia egoista, al pessimismo sterile, alla mondanità spirituale) perché emergano più chiari i “sì” (alla spiritualità missionaria, alle relazioni nuove generate da Cristo come l’essere figli e fratelli, alla gioia del Vangelo). È proprio nell’orizzonte di una riforma così intesa che la Chiesa nelle sue principali componenti che stiamo rivisitando (famiglia, ministri ordinati, consacrati/e) si rinnova nel profondo come voleva il Concilio e come chiede fortemente Papa Francesco. In riferimento alla vita consacrata tale riforma verte su tre ambiti specifici.
Primo: la grazia di una vita radicalmente evangelica. È il dono-impegno di assumere lo stile di vita di Gesù con i voti di obbedienza, castità e povertà. “La scelta di questi consigli, lungi dal costituire un impoverimento di valori autenticamente umani, si propone piuttosto come una loro trasfigurazione” (Vita consecrata, n. 87). Alla provocazione della cultura edonistica, la castità consacrata risponde con la testimonianza dell’amore celibe vissuto da Cristo; al materialismo avido di possesso risponde con la povertà evangelica a servizio dei poveri; al libertarismo del “fai da te, come ti piace” risponde con la libertà di obbedire al Padre facendo la sua volontà.
Secondo: la gioia della vita fraterna. Le comunità religiose sono chiamate a vivere quelle relazioni fraterne e amichevoli che sono un grande dono e una bella fatica da mettere in atto nel servizio, nel perdono, nella reciproca accoglienza per vivere il comandamento di Gesù: “Amatevi come vi ho amato io”. Qui si esemplifica l’ecclesiologia di comunione, cuore della testimonianza della Chiesa in un mondo diviso. Essere “una cosa sola in Cristo” è il testamento del Maestro.
Terzo: la gioia della missione. Portare il Vangelo dell’amore a tutti, più coi fatti che con le parole, portarlo specialmente ai più poveri. In questo modo sequela di Cristo, comunione fraterna e missione vanno insieme e si rinforzano a vicenda. Vorrei sottolineare infine la dimensione ecclesiale della vita consacrata. È un dono dello Spirito alla Chiesa, che la deve valorizzare. D’altra parte, i religiosi devono sentirsi dentro la Chiesa (locale) operando secondo il proprio carisma “in piena comunione con il vescovo nell’ambito dell’evangelizzazione, della catechesi, della vita delle parrocchie” (VC, n. 49). L’Anno della vita consacrata è una grande opportunità per rafforzare la comunione tra sacerdoti-laici-religiosi nella pastorale della Chiesa particolare. Alcune celebrazioni come la Giornata della vita consacrata, iniziative specifiche e alcune attività concordate e condivise dovrebbero essere inserite nella vita ecclesiale e partecipate da tutti. Viceversa, la presenza dei religiosi/e nella pastorale diocesana – secondo il proprio carisma – dovrebbe essere ancora più significativa, per rendere ancora più bella la Chiesa, Sposa di Cristo.