Le Province saranno riformate o addirittura abolite? Dopo anni di promesse, discussioni e annunci di partiti e Governi, nessuno lo sa. Anzi, l’impressione è che, ancora una volta, non se ne farà nulla. Con il rischio che questa discussione “produca ancora di più benzina nel motore dell’antipolitica”, come sottolineato da Wladimiro Boccali, sindaco di Perugia e presidente regionale dell’Anci (Associazione dei Comuni italiani), in occasione della presentazione dell’ultimo numero della rivista Umbria contemporanea nell’ambito di Umbrialibri. Dal dibattito è emersa la richiesta di avviare, con i fatti, una vera riforma organica dello Stato e delle sue articolazioni istituzionali e amministrative, che riguardi anche le Regioni, enti e agenzie regionali e subregionali. Con tempi e modi diversi (ma questa è una nostra osservazione) di quanto avvenuto con la riforma delle Comunità montane e di Umbria mobilità, che per ora hanno provocato disservizi, confusione e problemi economici.
La crisi della politica – è stato detto – ha aumentato localismi e spinte centrifughe per la mancanza di un coordinamento di politiche e progetti regionali. Anche i consiglieri regionali sempre più spesso si presentano e operano come rappresentanti degli interessi di questo o quel territorio, e non dell’intera regione. Del resto – ha ricordato il prof. Mario Tosti – storicamente l’Umbria è una “regione che ‘non esiste’, con territori che gravitano verso altre regioni”. Anche Perugia come capoluogo è cominciata a emergere soltanto con lo Stato pontificio, e la Provincia di Terni è nata solo nel 1927 per iniziativa di gerarchi fascisti e notabili ternani.
Le proposte del Governo
La Provincia di Terni con il governo Monti rischiava di essere cancellata poiché non aveva i numeri sufficienti per restare: 350 mila abitanti e 2.500 chilometri quadrati di estensione. Si era così aperto il dibattito su un difficile e contestato riequilibro tra le due Province con i Comuni dell’area folignate, spoletina e della Valnerina da accorpare a quella di Terni. Il governo Monti è caduto, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il suo decreto e le Province sono rimaste.
Il governo Letta è però tornato alla carica con due disegni di legge: uno costituzionale che prevede l’abolizione di tutte le Province, e un altro ordinario che in fase transitoria prevede una loro riforma. Il primo, sull’abolizione, richiede tempi molto lunghi, forse incompatibili con quelli di sopravvivenza del governo Letta, visto il clima politico. Il secondo, in sintesi, prevede la nascita dal 1° gennaio di alcune città metropolitane e la trasformazione delle attuali Province in enti territoriali di secondo livello. Consiglieri provinciali, non retribuiti per questo incarico, saranno i sindaci dei Comuni con più di 15 mila abitanti e i presidenti delle nuove Unioni dei Comuni, ancora da costituire. Unioni di più Comuni alle quali trasferire alcune competenze delle attuali Province. Non ci sarà più la Giunta provinciale. Una riforma transitoria che dovrebbe entrare in vigore dal 1° gennaio, ma siamo già a novembre e il decreto, con primo firmatario il ministro degli Affari regionali Graziano Del Rio, è ancora in Commissione.
Nel prossimo anno inoltre sono in programma le elezioni per il rinnovo di numerosi Consigli provinciali. Insomma, la confusione è tanta. “A questo punto – ha detto l’ex senatore Franco Giustinelli, vice direttore e curatore di questo numero della rivista – mi sembra problematico che il Parlamento riesca ad approvare entro dicembre il provvedimento di riforma delle Province come richiesto dallo stesso ministro Del Rio”. Indipendentemente dalla riforma delle Province – ha detto Leopoldo Di Girolamo, presidente del Cal (Comitato delle autonomie locali) dell’Umbria – “serve un ripensamento dell’assetto regionale e subregionale nelle sue varie articolazioni, elettive e non”. Il Cal propone un “riequilibrio complessivo del territorio regionale e la valorizzazione di città e comuni spostando il baricentro sul territorio”.
Perché non abolire le Province
Il compito di difendere le Province è toccato all’assessore provinciale di Perugia Domenico De Marinis. Si vuole abolirle – ha detto – con un “provvedimento antidemocratico e pericoloso, perché sono considerate l’anello debole della Casta che si vuole colpire, e non per motivi di carattere economico”. Uno studio dell’Università Bocconi ha calcolato che le Province costano 113 milioni di euro all’anno, mentre i tanti enti di secondo e terzo livello, agenzie regionali e consorzi, costano 7 miliardi e mezzo di euro. In Umbria le due Province hanno 1.600 dipendenti, che con l’eliminazione degli enti e il loro passaggio alla Regione costerebbero il 20 per cento in più. La Sicilia – ha detto ancora l’assessore – ha eliminato le 9 Province ma ha costituito 33 Unioni speciali di Comuni e 3 Consorzi. E questo – ha chiesto De Marinis – sarebbe il risparmio?
Alcuni dati
Il territorio della Provincia di Perugia si estende per 6.334 kmq, collocandosi quindi al 25° posto a livello nazionale (su 112 Province) per dimensioni. Comprende 59 Comuni. La popolazione – in base ai dati del 2011 – è di 655 mila persone, con più donne che uomini (51,9 per cento contro 48,1) e una presenza di stranieri del 10,4 per cento sul totale. Età media, 44,5 anni. Il territorio della Provincia di Terni si estende su 2.122 kmq, all’82° posto a livello nazionale per dimensioni. Comprende 33 Comuni. La popolazione ammonta a 228 mila persone, di cui ben il 52,4% sono donne. Presenza straniera dell’8,7 per cento. Età media 46,2 anni. (Fonte: UrbiStat)
Abolire un ente elettivo è lo stesso che tornare al Podestà fascista per risparmiare sui costi delle democrazie locali. Usare i Sindaci come consiglieri può andare bene come male minore.
Ridisegnare i territori provocherà una guerra civile di tutti contro tutti. Il nome provincia può benissimo restare, se i comuni c’erano nel medioevo e ci sono tuttora.
La Costituzione sarà ferrovecchio, ma non si può certo pensare che modificarla sia una pura formalità