Nel Vangelo di questa seconda domenica di Avvento l’evangelista Luca inizia collocando storicamente i fatti che si appresta a narrare. L’intento è quello di precisare che ciò che racconta – e che, da discepolo di Paolo, non ha vissuto direttamente – non è una favola, un racconto edificante, ma è storia. È la storia di un Dio che entra nella vita delle persone, che opera concretamente.
E così, dopo aver osservato l’affresco del potere politico del tempo, dall’impero di Roma fino alla spezzettata provincia della Palestina, dopo esserci immaginati palazzi di potere e intrighi per le successioni, compiamo uno scarto improvviso e ci ritroviamo, con un cambio di scena da cinematografia, nel deserto. Dio non entra nella storia dalla porta principale: ce lo dice anche Nazareth e l’umile casa in cui Maria accoglie l’angelo Gabriele, come pure la stalla di Betlemme dove nascerà Gesù, ma anche tante storie dell’Antico Testamento da Abramo a Mosè, da Davide a tanti profeti.
Possiamo leggere così anche il segno che Papa Francesco ci ha dato domenica scorsa, aprendo la porta santa della cattedrale di Bangui. Chi di noi conosceva la capitale della Repubblica Centrafricana, prima d’ora? Eppure da questa periferia del mondo comincia in anticipo l’Anno santo, e Bangui di colpo diventa la “capitale spirituale del mondo”, come annunciato dal Papa proprio all’atto dell’apertura.
“La parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto”. Senza grandezze e solennità Dio parla a un uomo che, figlio di un sacerdote del tempio di Gerusalemme, aveva scelto già da tempo una strada semplice e umile invece che puntare, come avrebbe potuto, al potere spirituale che detenevano, al tempo, Anna e Caifa. Anche lui sarà profeta, l’ultimo e il più grande.
Il deserto è il luogo della prova e dell’incontro con Dio: lo sa bene il popolo di Israele che vi vagò per quarant’anni; lo cercherà Gesù per preparare la sua missione e vi sarà tentato (Lc 4,1-13); nel deserto sfugge al drago la Donna dell’Apocalisse, e vi è nutrita da Dio (Ap 12,6).
Il deserto è vuoto, desolato, silenzioso; vi si rischia la morte: è allora che la Parola di Dio può essere ascoltata pienamente e può attuarsi con potenza. Nei tanti deserti della nostra vita – che magari non ci siamo scelti -, nelle nostre solitudini, nelle nostre prove possiamo allora cercare con forza una parola che ci salvi, un incontro con Dio che ci cambi la vita.
E la vita di Giovanni cambia: dal suo incontro personale parte una predicazione per “tutta la regione del Giordano”. La sua solitudine nel deserto sarà riempita da folle che andranno a battezzarsi da lui e ad ascoltare il suo invito alla conversione e al perdono.
Il Vangelo prosegue, attraverso la citazione di Isaia, con un grande messaggio di speranza: torna prepotente il tema dell’attesa, già affrontato domenica scorsa. I burroni saranno riempiti, i monti abbassati, i sentieri spianati: arriverà colui che ha il potere di “spianarci la strada”.
La nostra vita è spesso un luogo impervio, il nostro cuore pesante. Talvolta l’esistenza ci pone di fronte a ostacoli che ci sembrano insormontabili e ci sentiamo sull’orlo di un baratro: una malattia, un lutto, la mancanza di lavoro, le difficoltà di un figlio, le fatiche di accogliere un anziano.
L’elenco dei nostri personali e tortuosi deserti potrebbe essere anche molto più lungo, ma su questo la Parola di Dio di oggi è luminosa. Dobbiamo innanzitutto preparare la strada, raddrizzare la nostra andatura, deporre “la veste del lutto e dell’afflizione” come ci invita il profeta Baruc nella prima lettura. Tutto questo “perché Dio ricondurrà Israele con gioia, alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da Lui”.
La liturgia di oggi ci consegna quindi un messaggio di gioia: “Allora la nostra bocca si riempì di sorriso, la nostra lingua di gioia”, ci dice il Salmo. Il Signore, come per il seminatore, ha il potere di cambiare le nostre lacrime in gioia.
Quasi sempre non è la durezza della vita a poter cambiare, ma è il nostro cuore e la nostra disposizione d’animo: con il cuore alleggerito dalla presenza del Signore Gesù, il baratro non ci sembra più così profondo, e ciò che sembrava insormontabile, ci accorgiamo di poterlo scalare. È innanzitutto un’opera del Signore: “Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù”, ci dice san Paolo nella seconda lettura.
L’augurio, per tutti noi, è di proseguire con gioia l’attesa dell’incontro con il Signore Gesù.