Tra due settimane è Natale. Un tempo avremmo detto che tutti sanno cosa significa e perché si celebra. La nascita di Gesù a Betlemme, una città della Palestina, in un giorno che l’antica comunità cristiana, non avendo dati anagrafici definiti, ha fissato nel 25 di dicembre che per i romani era il giorno del natale del sole, dies natalis solis invicti. Attorno a quei giorni si ha, infatti, il solstizio d’inverno, quando abbiamo il giorno più corto dell’anno, e subito dopo il sole riprende a risalire ed i giorni si allungano progressivamente e seguono il loro corso. I cristiani hanno legato questo fenomeno della natura con la nascita di Gesù, Luce che illumina il mondo. Oggi, in clima laicista o in quella zona dell’ignoranza e del pregiudizio che si allarga sempre di più, si sono insinuate idee diverse, come ad esempio l’idea che sia la festa dell’inverno, la festa delle luci, la festa di Babbo Natale, la festa dei bambini, sfuggendo il dato centrale dell’Incarnazione. Ciò che accomuna le varie declinazioni del Natale è il carattere di festa, di festa dei bambini, di occasione per essere più buoni, più gentili, per fare pace con le persone con cui si era in discordia, riannodare rapporti con i doni natalizi, aprire la casa agli amici e mostrare addobbi e festoni, alberi veri o di plastica con lucine intermittenti e la stella luminosa sulla cima. I cristiani sono chiamati a conservare il ricordo autentico e la celebrazione genuina secondo la tradizione della messa di mezzanotte, del presepio fisso o vivente. E tuttavia sembra pure importante e costruttivo ricordare che, anche laicizzato, il Natale porta bene alla società, induce a realizzare comportamenti positivi e valori profondi, che trovano la loro nativa sorgente in Gesù che è il dono più grande per l’umanità. I gesti di bontà del Natale sono come un sacramento diffuso in tanti piccoli segni, come una illuminazione della vita umana, richiamata dalle tante luci. In questo senso, per chi fa quei gesti di cui dicevamo sopra, il Natale rimane cristiano anche se lui cristiano non è. Forse pensava anche a questo Benedetto Croce, conoscitore della cultura e delle ricche tradizioni natalizie abruzzesi e napoletane in particolare, quando affermava: “Non possiamo non dirci cristiani”. Quello che il Natale non sopporta di essere è la volgarità degli spettacoli proposti in suo nome, è lo spreco inutile e l’esibizione dello sfarzo che non tiene conto della crisi in cui versano molti e non vede la povertà di chi sta attorno. Contrasta con il Natale il gioco d’azzardo che avviene nelle case e nelle bische, la trascuratezza verso i figli piccoli, affrontando viaggi avventurosi e defaticanti. Un particolare e stridente contrasto con lo spirito del Natale è l’abbandono dei vecchi, rimasti soli nelle case senza il calore dell’affetto di figli e nipoti, e talvolta anche senza il calore fisico. Rimane nel fondo di chi crede e di chi pensa, con una grande nostalgia, il desiderio e la preghiera per un Natale che dia un respiro di speranza al mondo di chi soffre.
Natale, ossia…?
AUTORE:
Elio Bromuri