di Paolo Bustaffa
“Il lettore, indignato sul momento, non è un lettore consapevole, né un lettore informato. È un lettore emozionato. L’emozione, senza contesto, serve a poco”. Così la giornalista Francesca Mannocchi commenta quella narrazione della guerra che assomiglia a un documentario di autore ignoto. È interessante che sia proprio una professionista a mettere in guardia sia coloro che narrano morti e distruzioni sia coloro che ascoltano e guardano. È la critica di un modo frettoloso di fare informazione.
Con un conseguente altro rischio, che è quello di spegnere il televisore e chiudere il giornale per non essere emozionati. A rendere più complessa la situazione è la velocità della tecnica. Internet e altre nuove tecnologie, come torrenti in piena, riempiono gli occhi immagini e parole “forti”. Difficilmente lasciano tempo per l’approfondimento. Il giornalista se ne rende conto, si sente sollecitato a cambiare la narrazione per renderla capace di suscitare il desiderio di entrare nella complessità per capirla.
La collega Mannocchi non ha dubbi: occorre che la notizia, oltre i suoi elementi essenziali, offra uno stimolo per comprendere meglio il contesto, l’insieme, le radici. Sarà necessaria una rivoluzione nella narrazione giornalistica, sarà necessario mettere in gioco il senso e il valore di una professione che ogni giorno si confronta con quello che la giornalista chiama “l’inganno della velocità”.
Sarà necessario che anche il lettore, il teleutente, il navigatore riconoscano che un inganno sono anche le emozioni che complicano la ricerca di cause ed effetti, annullano il magistero della memoria, sono alla base della fragilità e dell’inconsistenza delle valutazioni.
C’è un equilibrio da raggiungere per evitare che sia la verità la prima sconfitta delle guerre, ma anche di conflitti sociali, economici e politici. Un equilibrio raggiungibile solo se il pensiero critico, che ha bisogno di tempo per formarsi, non viene confuso con l’astrattezza, oppure considerato un esercizio inutile.