Si stringe il cuore a vedere le foto delle chiese nei territori dominati dal califfato islamico, con le croci abbattute e sostituite dalle bandiere nere. Naturalmente si soffre ancora di più vedendo gli esseri umani uccisi, ma anche la distruzione dei luoghi sacri e dei simboli della fede è carica di promesse sinistre. A questo punto, a molti viene spontaneo dire: se loro fanno così, perché noi dobbiamo permettere la costruzione delle moschee e la libera pratica del culto islamico? A questa domanda abbiamo una risposta sola: dobbiamo permetterlo perché questi sono i princìpi di uno Stato moderno, democratico e laico. La libertà religiosa è stata solennemente riconosciuta dalla Chiesa cattolica con un documento conciliare del 1965; ma ancora prima era stata iscritta nella Costituzione dello Stato italiano. E a questi impegni dobbiamo tener fede.
Del resto non possiamo sperare di integrare pacificamente gli immigrati nella nostra comunità nazionale, se non permettiamo loro di praticare i propri culti, beninteso nel rispetto delle leggi e nel rispetto reciproco. Qualcuno dice che si dovrebbero obbligare gli imam a predicare in lingua italiana. Penso che questo sarebbe incostituzionale, ma prima ancora senza senso e impraticabile di fatto. Nel secolo scorso, quando erano gli italiani ad emigrare nel Nord Europa e in America, la Chiesa istituiva in quei paesi le “missioni cattoliche italiane” dove naturalmente si parlava, si predicava e si pregava in italiano; e sarebbe stato assurdo costringere i missionari seguaci di san Vincenzo Pallotti e di santa Francesca Cabrini a predicare ai loro connazionali in una lingua diversa dall’italiano, che quelli neanche avrebbero capito. Sarebbe allora più semplice, e più intelligente, far imparare bene l’arabo a un po’ di poliziotti in modo che possano capire non solo i sermoni del venerdì, ma anche i discorsi nei bar e nei posti di lavoro, e a loro volta farsi capire quando debbono parlare con gli immigrati per motivi di servizio. Si otterrebbero risultati migliori e sarebbe anche più giusto. Anche in queste faccende il buon senso e il buon diritto tendono a coincidere.