di Angelo M. Fanucci
L’ha scritto Thomas Mann, il romanzo Morte a Venezia. Ne ha tratto un film Luchino Visconti. Io di mio ci aggiungo un punto interrogativo: “Morte a Venezia?”. Il film non m’è piaciuto. Di Visconti avevo visto da poco Gruppo di famiglia in un interno, e pensavo che Morte a Venezia continuasse quell’umanissimo tragitto verso “sorella morte” che affligge ed esalta il prof. Burt Lancaster, dopo che da un gruppo di sbandati d’alto bordo ha imparato ad amare la vita, lui che amava solo le cose belle della vita.
Niente, una lagna. In Morte a Venezia Visconti / von Aschenbach piagnucola su se stesso, fiaccato dallo spegnersi della sua passione malaticcia per Tadzio. Immagini patinate, ma il film, lo svolgimento, in Morte a Venezia dov’è? Un film? No, una pinacoteca.
La morte a Venezia io l’ho vista (credo d’averla vista) più volte, in forma dubitativa (per questo ho buttato là il mio il punto interrogativo), durante le tre bellissime giornate nella città dei Dogi che don Angelo Favero ha offerto a noi che, come lui, siamo preti dal 1961 (!). Da vaporetto a vaporetto, attraversavamo a piedi i calli e i campielli in quantità industriale. Io mi trascinavo e mi dicevo: “Odìo, ’n ce la fo più! Me se ferma ’l core!” oppure “odìo, a mo’ ’nciampo e finisco in acqua!”.
Don Angelo Favero ha i miei stessi ottant’anni all’anagrafe, ma nel quotidiano ne ha venti di meno. Lunghissima la camminata per Venezia, con lui in testa. Lunghissima e straordinaria. A partire dalla messa concelebrata davanti alla Madonna Nicopeia, l’immagine che a Costantinopoli, prima che i veneziani la rubassero nel 1204, ha visto migliaia di cristiani sgozzarsi con migliaia di turchi.
Passando per San Giorgio Maggiore, una leccornia del Palladio, e sostando nella grande sala del convento annesso, dove gli appena 36 i cardinali presenti (sui 45 che formavano il Sacro Collegio) elessero Papa di quella Chiesa che Napoleone non era riuscito ad affondare Barnaba Chiaramonti, il primo vescovo che aveva tenuto un’omelia sulla conciliabilità fra Vangelo e democrazia.
Per approdare a Torcello nella cattedrale bellissima quanto semplice, che ho dovuto abbandonare a metà della concelebrazione perché ero sudato come un topo appena estratto dalla damigiana dell’olio. Sono uscito al sole e mi sono seduto lì davanti, sul trono di Attila, in pietra candida. Sono passati dei bambini, non mi hanno degnato di uno sguardo. Ohé! Attila, mica Di Maio! Sic transit gloria mundi.