Non si fa in tempo a dire qualche parola positiva di speranza per il futuro, che arriva un fatto eclatante, che non puoi ignorare, anche perché accaduto accanto a casa tua, e che ti fa interrogare: forse non c’è proprio speranza.
La settimana scorsa scrivevo di una primavera che deve venire e in qualche modo è annunciata, seguendo una traccia delineata dal card. Bassetti sull’Osservatore Romano del 16 luglio. Rimane sempre valido il citatissimo proverbio sulla “foresta che cresce in silenzio, mentre l’albero che cade fa rumore”. Ma è pur vero che quell’albero è figlio della foresta… La sofferenza dell’albero costringe – o dovrebbe – tutta la foresta a interrogarsi.
Questa premessa per dire che la morte del 16enne di Città di Castello a causa della droga fornitagli da un amico non si può archiviare o lasciare al doloroso ricordo di genitori e amici. Un fatto di questo genere pone interrogativi che non hanno alcuna facile risposta. Ci si domanda di tutto sulla persona, sulla famiglia, sull’educazione, sul mistero dell’esistenza, sulla scuola, sulla società, sulla fede, sulla morale. Una pasticca di ecstasy o simili fa saltare tutto in un attimo. I perché si fanno avanti e nessuno – come in uno strike a bowling – riesce a farli crollare.
E allora, che vale scriverci sopra e arrovellarsi l’anima? Rassegnarsi, come vorrebbe il filosofo che “non ride e non piange, ma solo osserva”, non è accettabile e neppure umano; non solo per i più affettuosi parenti e amici della vittima, ma per la salute della mente, che non tollera di rimanere al buio di fronte alla verità delle persone, delle cose e dei valori. Il cuore, soprattutto, cerca le sue ragioni per potersi placare.
A costo di dire cose ovvie, pare opportuno segnalare il contesto o ambiente in cui avvengono certi fatti. Fare una scelta in discoteca non è la stessa cosa che farla nella propria camera. La discoteca è un contesto esterno, ma anche psicologico, di sensazioni alterate in cui la propria scelta, se non è predeterminata con decisione, rischia di essere poco ben ponderata e lasciata al caso.
Ma il contesto più ampio e avvolgente è quello della cultura dominante che la gioventù respira fin dalla scuola primaria. Il crollo delle responsabilità: la colpa è sempre di qualche altro. La vaghezza delle regole, il tarlo del sospetto negli insegnamenti ricevuti, la sfiducia nei maestri e la mancanza di modelli di vita, la confusione mentale che non lascia districare tra desideri, pulsioni e comportamenti sani, tra ciò che è giusto e ciò che giova, rispetto ai rischi che si corrono facendo scelte trasgressive, seppure generalizzate e di moda.
Un giovane, buono, bravo, intelligente, a un certo momento decide di entrare in una storia nuova e inedita, di aprirsi un varco nella routine dell’ordinaria vita di giovane perbene. Perché no? Oggi lo stato di confusione della nostra società, l’incertezza delle regole e la carenza di senso di responsabilità si specchia nel fatto che le cose anche più evidenti si possono cambiare, come descritto nell’ideologia del gender. In Italia manca una legge contro l’omofobia o per le unioni gay, ma l’Europa la chiede, e già in Italia si potrà cambiare sesso sulla carta d’identità senza farlo sul piano fisico (vedi Il punto di Lignani). Poi viene la varietà di unioni simil-matrimonio, di procreazione.
La maschera della finzione sembra attaccata alla faccia di tutti. Un imprenditore dice: “Sono orgogliosamente gay. È un dono di Dio”. Altri si sentono ghettizzati e chiedono protezione. Ancora a proposito di sostanze, è di queste settimane la proposta di legalizzare – o liberalizzare? – per uso e coltivazione personale la marijuana.
La confusione esteriore facilmente si introduce nella mente dei giovani e produce danni. Il contesto non elimina le responsabilità, ma è anche una responsabilità quella di agire per sanarlo: la cura dell’ambiente o “ecologia antropologica” di cui parla Papa Francesco.
Condivido pienamente.
Spero che il concetto che la cannabis “non è affatto una droga”leggera” sia divulgato il più possibile, stante che ritengo che la stragrande maggioranza delle persone pensi invece che lo sia.
Dobbiamo interrogarci sul pericolo incombente del “buonismo”.
La nostra Speranza è salda in Gesù Cristo, ma non senza il nostro concreto impegno, culturale e sociale.
Siamo in “guerra”, ci piaccia o meno!