Il fischio d’inizio dei Campionati mondiali di calcio in Qatar non deve far tacere il grido delle vittime, degli sfruttati, di coloro cui sono stati stati negati i diritti più elementari riconosciuti ai lavoratori. Le infrastrutture che ospiteranno il prestigioso torneo sono state realizzate grazie a un’immigrazione fortemente favorita dal Governo del Qatar. Da India, Bangladesh, Sri Lanka, Nepal e dall’Africa tutta, migliaia e migliaia di giovani si sono spostati in quel lembo di Medioriente per sottoporsi a ritmi di lavoro inumani e senza alcuna garanzia di sicurezza. Tant’è che nessuno conosce il numero esatto di coloro che hanno perso la vita in quei cantieri, anche se si parla di 6.500 vittime.
A questo si aggiungano le carenze della legislazione emiratina in materia di diritti umani e restrizione della libertà di stampa e di espressione, di associazione e manifestazione, dei diritti delle donne e delle minoranze. E allora, almeno per onorare le persone “morte di sfruttamento” sarebbe il caso che le Federazioni nazionali che vi partecipano denunciassero quelle violazioni per cogliere l’occasione dei Mondiali come motivo di crescita della civiltà dei diritti in Qatar. Per non fare prevalere ancora una volta l’indifferenza o il business.