Domenica scorsa, all’Angelus, Papa Francesco ha lanciato un appello affinché, in prossimità del Giubileo della Misericordia e come gesto concreto in preparazione dell’Anno santo, ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa, esprima la concretezza del Vangelo nel dare accoglienza a una famiglia di profughi.
Si tratta di persone protagoniste in questi giorni di un vero e proprio esodo biblico, che non avrebbero mai lasciato le terre di origine se non per salvare le proprie vite dalla guerra e dalla fame, tragedie per le quali nessuno, per prima la comunità internazionale, può dichiararsi estraneo da responsabilità.
L’autenticità dell’invito del Papa si fa particolarmente viva e sollecita per i vescovi della Chiesa umbra, chiamati a svolgere il loro ministero nella terra di san Benedetto e di san Francesco, di santa Rita e della beata Madre Speranza.
Tutti i cristiani, allora, siano essi sacerdoti, religiosi o laici sono chiamati a esprimere, ciascuno secondo le proprie possibilità, un’accoglienza generosa e concreta, fatta certamente con il cuore, ma anche con la testa, consapevoli cioè dell’enorme sforzo che tutto ciò determinerà in chi – come coloro che operano nelle Caritas diocesane (già da anni interessate al tema dell’accoglienza dei profughi) o parrocchiali – è quotidianamente impegnato nel difficile compito di sostenere le tantissime famiglie umbre messe in ginocchio da una crisi socio-economica che le ha impoverite e isolate, senza una prospettiva reale e concreta di ritorno ad una vita dignitosa ed economicamente indipendente.
Starà a noi cristiani riuscire ad accogliere l’invito di Papa Francesco, offrendo un posto per dormire e un pasto da consumare alle famiglie di profughi che continueranno ad attraversare il mar Mediterraneo e quello Egeo, senza però dimenticare i poveri, i disoccupati, i malati, i divorziati, i giovani senza futuro “della porta accanto”, che oramai non sono più una triste sorpresa “inaspettata”, ma, anche loro, ferita sanguinante della nostra economia che esclude e, a volte, uccide.
Va da ultimo sottolineato il chiaro riferimento del Santo Padre alla famiglia come entità preesistente a ogni forma di organizzazione sociale e prima scuola di umanità, di socialità e di vita cristiana. A essa rivolgeremo la nostra attenzione, per esprimere generosamente, attraverso il gesto concreto di accoglienza, la prossimità della Chiesa umbra al “fratello che soffre”.