È la fine di “un” mondo

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XXXIII Domenica del tempo ordinario - anno C

Questa domenica è la penultima dell’anno liturgico. Mentre si sta concludendo un’altra tappa del cammino cristiano, la liturgia ci pone dinanzi le realtà definitive. Ne sentiremo parlare nella breve prima lettura del profeta Malachia e più estesamente nel brano evangelico, il cosiddetto discorso escatologico. I cristiani di rito orientale, nella controfacciata delle chiese, hanno raffigurato il Giudizio universale per ricordare ai fedeli che escono di chiesa che, tornando alla vita quotidiana, non devono dimenticare che stiamo tutti camminando verso quel giorno. Il capitolo 21 del Vangelo secondo Luca riporta l’ultimo discorso pubblico di Gesù.

Gliene diedero occasione alcuni amici, che ammiravano le bellezze architettoniche e ornamentali del Tempio. Gesù si intromise con parole che li lasciarono esterrefatti: “Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sia distrutta”. Chi è stato a Gerusalemme e ha visitato gli scavi archeologici, all’esterno della Spianata delle moschee, ha potuto vedere con i propri occhi la realizzazione di questa predizione di Gesù: il cumulo enorme di pietre, crollate una sull’altra; squadrate, bellissime. Sono state riportate alla luce recentemente. Facevano parte delle gigantesche strutture del tempio restaurato da Erode e demolito dai legionari romani di Tito nel 70 d.C. Ai tempi di Gesù il tempio di Gerusalemme era una delle sette meraviglie del mondo antico, orgoglio dei giudei e simbolo di stabilità incrollabile.

Immaginiamo come dovettero rimanere gli amici di Gesù a sentirlo parlare così. Si trattava di un’affermazione rivoluzionaria, che sarà utilizzata contro di lui come capo d’accusa nel processo a cui lo sottoporranno le autorità giudaiche. Realmente la distruzione del Tempio segnò la fine di un’epoca storica: il giudaismo credeva fermamente che lì fosse l’abitazione terrena di Dio. Fu un vero shock per la fede di ogni ebreo sinceramente credente. Ma questo doveva accadere: la funzione del Tempio era storicamente compiuta; d’ora innanzi l’abitazione dello Spirito di Dio sarà il corpo del Risorto e quello di tutti coloro che lo confessano Vivente.

Se oggi un’autorevole agenzia battesse la notizia che Roma o New York o Stoccolma stanno per scomparire, penseremmo automaticamente alla fine del mondo. Simile deve essere stata la reazione dei discepoli a quella profezia del Maestro. Qualche decina di anni più tardi, ci fu anche una comunità cristiana di Tessalonica, in Grecia, che credette prossima la fine del mondo; tant’è che smisero di lavorare. Pensarono: a che serve affaticarsi, visto che il ritorno del Signore è imminente? Ne siamo informati dalla Seconda lettera che l’apostolo Paolo dovette scrivergli per richiamarli all’ordine: “Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono… senza fare nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità”.

I discepoli di Gesù dunque, sorpresi da quella predizione, gli rivolsero la domanda: “Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?”. Gesù non precisò una data; non era importante: avrebbe solo soddisfatto una pericolosa curiosità. Preferì metterli realisticamente in guardia dicendo loro che, se anche si tratta della fine di un mondo, non è ancora la fine del mondo. Abbiano chiaro pertanto che la vita sarà ancora lunga, per loro e le generazioni successive; e che dovranno vivere quotidianamente a occhi aperti, facendo attenzione a non farsi sedurre. Molti infatti si presenteranno dicendo: “Io sono”. Conviene fermarci un momento a riflettere su questo misterioso “Io sono”. L’espressione è ricca di significato e di attualità. Gesù la pronunciò in occasioni solenni, quando indicò se stesso come “Colui che è”, al pari del Padre; quando si presentò come Via, Verità, Vita. La storia ha conosciuto molti personaggi che con discorsi, spesso contorti, hanno affermato di sapere la Verità, di conoscere la Via della felicità, di garantire pienezza di Vita.

Anche la nostra generazione ne ha conosciuti e ne conosce. Non sarebbe difficile fare nomi. Da qualche tempo ci hanno annunciato anche che la Verità assoluta non esiste e che tutto è relativo, e che chi non si adegua è un sorpassato. Senza darlo a vedere, si sono presentati dicendo: “Io sono”. Bisogna riconoscere che molti tra noi non sono stati abbastanza guardinghi e ci sono cascati. Chi non c’è cascato, ne paga le conseguenze in termini di sarcasmo, disprezzo, emarginazione sociale, condanna all’insignificanza. Ma questo ci era stato preannunciato: “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome”; insieme all’assicurazione che “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto”.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi