Noi e… i nostri cinque fratelli

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XXVI Domenica del tempo ordinario - anno C

Anche oggi la liturgia si apre con un grido del profeta Amos che prova a risvegliarci dal nostro disinteresse per gli altri. La scorsa domenica ricordavamo la favorevole congiuntura economica del regno del Nord ai tempi del profeta, quando pochi straricchi si organizzavano per diventarlo sempre di più, a danno dei poveri. Oggi sono presentati mentre se la godono, chiusi nei loro palazzi di lusso, ignari di quanto sta per accadere.

Con ironia feroce li coglie sdraiati su divani decorati d’avorio (gli archeologi ne hanno trovato le tracce) mentre, riccamente profumati, gozzovigliano, si sbronzano, si improvvisano cantautori, si paragonano a Davide nell’arte musicale. E ignorano che le truppe assire di Sargon II erano già in marcia e che presto essi sarebbero stati messi in testa alla cordata dei deportati. Il tempo dei festini sta per finire, ma non se ne accorgono. Amos aveva già proclamato oracoli simili: il capitolo quarto del libro si apre con un’invettiva contro le dame di Samaria. Le interpella: “Vacche di Basan… che schiacciate i poveri… che dite ai vostri mariti: facci portare da bere!”. Anche loro andranno in esilio. Spinte con pungoli e trascinate con arpioni da pesca, usciranno una dopo l’altra per le brecce delle mura diroccate.

Con questa potente prima lettura la liturgia ci prepara all’ascolto della parabola di un anonimo miliardario e di Lazzaro il mendicante. Come al solito, l’evangelista Luca si dimostra un esperto narratore: con poche pennellate delinea i due personaggi. Il miliardario, vestito con i tessuti più preziosi presenti sul mercato, banchettava quotidianamente. È facile immaginare che quei banchetti, sempre pieni di invitati, fossero vere orge, durante le quali non c’era di tempo di pensare agli altri. Eppure alla porta del palazzo giaceva un mendicante, affamato, piagato, da far compassione anche ai cani randagi, che gli davano qualche sollievo leccandogli le piaghe.

Il racconto non dice altro della vita dei due; ma arriva rapidamente alla morte di entrambi. Solo ora l’ex miliardario si accorge di Lazzaro, che non è più un mendicante piagato ma un amico felice del padre Abramo. Lui invece si dibatte tra le fiamme dell’ade. Ora il racconto rallenta. Mentre la descrizione delle due vite è stata rapida, quella post mortem è molto particolareggiata. Entrano in scena altri personaggi: Abramo, a cui l’ex miliardario anonimo presenta tre suppliche, ricevendone altrettante risposte negative; in ultimo compariranno anche i cinque fratelli dell’ex miliardario, che non interverranno direttamente, ma che avranno un rilievo importante nell’economia della parabola. La prima richiesta fu di mandargli Lazzaro con un sorso d’acqua, a dargli un attimo di sollievo.

Abramo rispose che non era possibile, a causa del fossato invalicabile che li separava. Del resto, lui aveva avuto i suoi beni durante la vita terrena e Lazzaro i suoi mali; ora la situazione si è capovolta e lui non ci può fare niente. Allora il miliardario sposta la seconda richiesta su un terreno che ritiene meglio praticabile: mandare Lazzaro dai suoi cinque fratelli, ad avvertirli di cambiare vita. Abramo risponde che è sufficiente ascoltare Mosè e i Profeti. L’ex miliardario insiste (terza istanza): se vedranno uno risuscitato dai morti, si faranno convincere. Abramo risponde che è un’illusione: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”.

Se proviamo a domandarci a quale dei personaggi della parabola somiglia ciascuno di noi, sulle prime avremmo qualche difficoltà a rispondere. Difficilmente potremmo somigliare al miliardario. Chi di noi ha tanti soldi da mettersi ogni giorno vestiti e scarpe firmate, e imbandire quotidianamente banchetti luculliani? Difficilmente però potremmo sentirci nei panni di Lazzaro: grazie a Dio, gran parte di noi, che leggiamo queste righe, è al riparo dall’estrema povertà. Rimangono i cinque fratelli.

Il racconto non ne dice granché. Sappiamo comunque che fanno parte della famiglia dell’ex miliardario. Anche se non hanno fatto la stessa fortuna del fratello, ne condividono certamente la mentalità, la cultura e quant’altro: importante è vivere al riparo di una seria barriera di denaro; quelli rimasti fuori si arrangino. Altra cosa che il racconto lascia intendere: i cinque fratelli non sembrano avere una fede seriamente fondata; forse non sono irreligiosi, ma si fidano poco di Mosè e dei Profeti; meglio ascoltare qualcuno tornato dal cimitero. La limpida risposta di Abramo, nostro Padre nella fede, vale per noi più che per l’immaginario ex miliardario: se non ascoltiamo la Parola di Dio, contenuta nelle Scritture sante, non saremo persuasi neanche se ci si presentasse qualcuno risorto dai morti.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi