Madre Giuseppina Biviglia, abbadessa del Monastero di clarisse di S. Quirico di Assisi durante la seconda guerra mondiale, è stata proclamata “Giusto fra le nazioni” per per aver salvato numerosi ebrei anche a rischio della sua vita, vicende narrate anche dalla pellicola Assisi underground (Usa, 1985, regia di A. Ramati). Il riconoscimento giunge dal Museo Yad Vashem di Gerusalemme, che ha conferito il titolo di “giusto tra le nazioni” a Madre Giuseppina Biviglia (folignate, 1897-1991), allora abbadessa del Monastero di San Quirico. La testimonianza che, in spirito di clariana semplicità, Madre Giuseppina ha lasciato di quegli anni tumultuosi, è ricordata con le sue stesse parole nel comunicato diffuso dalla abbadessa Madre Benedetta e sorelle di S. Quirico, non appena ricevuta la notizia, nel quale è anche annunciato che la cerimonia di consegna “avverrà nei prossimi mesi probabilmente presso il Museo della Memoria di Assisi”.
Madre Giuseppina (nata a Serrone di Foligno (PG) il 31 marzo 1897 e morta a 94 anni il 31 marzo 1991) entrò in monastero il 13 maggio 1922 in qualità d’insegnante alla lavorazione delle telerie elettriche, lavoro che permetteva il sostentamento della comunità. L’8 settembre 1922 chiese d’iniziare il probandato e il 18 marzo 1923 fece la vestizione con il nome di sr. Maria Giuseppina di Gesù Nazareno. Il 19 marzo, solennità di S. Giuseppe, del 1924 e del 1927 fece successivamente la professione temporanea e la professione solenne. Madre Giuseppina guidò la comunità come madre abbadessa dal 1942 al 1945, dal 1945 al 1948, dal 1964 al 1967 e dal 1967 al 1970. A conclusione del secondo triennio del suo servizio di abbadessa lasciò nel libro delle memorie del monastero i suoi ricordi del periodo bellico:
“…Mentre fino dal settembre 1943 s’intensificava l’offesa aerea anglo-americana sull’Italia con somma sorpresa di tutti, mentre in patria rincrudivano persecuzioni politiche, vendette personali e ordini odiosi venivano spiccati contro Ebrei e soldati ligi allo spirito dell’armistizio, i nostri Istituti divenivano luogo di rifugio agli sbandati, ai perseguitati politici, ai fuggitivi, agli Ebrei, agli evasi dai campi di concentramento. Ne ebbe la sua parte il nostro Monastero. Superfluo dire che incapaci noi stesse di capire quanto avveniva in tanta confusione, si obbediva solo a un sentimento che sorgeva spontaneo di volta in volta che si presentavano dei disgraziati: davanti al dolore di ciascuno avrebbe taciuto ogni velleità di giudizio, anche se avessimo saputo darne uno: la pietà avrebbe in ogni caso trionfato come trionfò. E trionfò per amor di Dio e del prossimo: il Primo dava l’impulso ad aiutare il debole; il secondo quasi sempre innocente viveva in quei giorni sotto l’incubo degli arresti, dei campi di concentramento, della fucilazione e peggio! Devo dire tuttavia che qualche volta opposi un po’ di resistenza all’accettazione di queste persone sentendo tutta la responsabilità della mia posizione di fronte alla Comunità e temendone per questa qualche conseguenza: ma in quei momenti fui sempre incoraggiata dal nostro Venerato Superiore, da altri Sacerdoti e dalle mie stesse Consorelle ad agire in favore di quei poveretti. Le persone che si rifugiavano da noi furono, per grazia di Dio, nei nostri riguardi tutte oneste, rette, buone, e anche religiose, tanto i cattolici quanto gli Ebrei. Venne qualche fascista durante il Governo Badoglio e dopo l’entrata degli Americani; qualche socialista in certi momenti di pericolo durante la Repubblica Sociale. Subito dopo l’8 settembre avemmo ufficiali e soldati del R. Esercito ligi al giuramento costituzionale, e poco più tardi un folto numero di Ebrei (era proprio un’arca di Noè).”